Intesa Sanpaolo è la più grande banca italiana con attivi per oltre mille miliardi di euro e detiene titoli di Stato per un valore di 72 miliardi di euro. La seconda, Unicredit, a fronte di attivi per 945 miliardi, ha investimenti in titoli sovrani per 94 miliardi di euro, quelli italiani ammontano a 42 miliardi. Banco Bpm (208 miliardi di attivi) possiede titoli di stato per 24 miliardi di euro. La cassaforte più capiente è però quella del gruppo assicurativo Generali
Il fallimento della banca californiana Silicon Valley Bank (Svb) ha acceso i riflettori su un effetto collaterale del rialzo dei tassi di interesse da parte delle banche centrali sinora sottovalutato. In generale tassi più alti tendono a favorire i ricavi delle banche ma il rialzo dei tassi riduce anche il valore dei titoli obbligazionari già in circolazione, inclusi i titoli di Stato. Questo non è un grosso problema se i bond vengono detenuti fino alla loro scadenza. A quel punto l’emittente, stato o azienda che sia, rimborserà l’intero valore del titolo, lo stesso a cui era stato comprato. I problemi insorgono se il possessore si trova nella necessità di vendere i titoli in anticipo, come è accaduto a Svb. In tal caso le perdite possono essere significative. “Silicon Valley Bank ha sofferto una gestione che ha portato ad un problema di liquidità, doveva vendere asset, compresi i buoni del Tesoro che avevano perso valore di mercato”, ha riassunto oggi la segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen in audizione al Senato americano.
C’è di più. I titoli possono essere inseriti nei bilanci con varie classificazioni e diciture. Possono essere classificati come disponibili per la vendita oppure da mantenere fino a scadenza. In ogni caso, in misura più o meno marcata, il loro valore va periodicamente parametrato a quello di mercato. Quindi un effetto sui numeri del bilancio c’è in ogni caso e in alcuni casi può innescare la necessità di aumentare il capitale, primo “presidio” contro eventuali perdite. Ad inizio settimana il vice presidente della Bce, Luis de Guindos, ha avvertito i ministri delle Finanze dei paesi europei che alcune banche della zona euro potrebbero essere vulnerabili al rialzo dei tassi di interesse. L’incontro si è svolto dopo il fallimento di Svb ma prima del collasso del gruppo elvetico Credit Suisse, dovuto ad altre dinamiche. Guindos avrebbe detto che i nostri istituti sono molto meno esposti delle loro controparti americane ma ha anche avvisato di non essere compiacenti e ha avvertito che una mancanza di fiducia potrebbe scatenare il contagio.
Qual è la situazione delle banche italiane da questo punto di vista? Premesso che non ci sono allarmi e che i valori patrimoniali delle grandi banche italiane sono in linea, e in alcuni casi superiori, a quelli chiesti dalla Bce, la quantità di titoli di stato nei loro portafogli è cospicua. Nel complesso, secondo gli ultimi dati dall’Associazione bancaria italiana, i soli titoli di Stato italiani ammontano a 381 miliardi di euro , corrispondente a circa il 65% del portafoglio complessivo che ammonta a circa 585 miliardi. Intesa Sanpaolo è la più grande banca italiana con attivi per oltre mille miliardi di euro e detiene titoli di Stato per un valore di 72 miliardi di euro. La seconda, Unicredit, a fronte di attivi per 945 miliardi, ha investimenti in titoli sovrani per 94 miliardi di euro, quelli italiani ammontano a 42 miliardi. Banco Bpm (208 miliardi di attivi) possiede titoli di stato per 24 miliardi di euro, poco meno di 12 miliardi sono in bond italiani. Bper, a fronte di attivi per 163 miliardi, ha 15 miliardi di bond governativi, quelli italiani ammontano a 10,7 miliardi. Infine Mps (137 miliardi di attivi) con titoli per poco più di 20 miliardi di euro. Grandi casseforti di titoli sovrani sono anche i gruppi assicurativi (che non rientrano nelle statistiche Abi). Il più grande del paese, il gruppo triestino Generali, ne possiede per 143 miliardi di cui il 44% italiani.