Solo pochi giorni fa si è celebrata la giornata internazionale della Donna, non la “festa” della donna, come ho sentito definirla nelle aule parlamentari da alcuni rappresentanti politici. E mentre da parte di tutti arrivavano “belle” parole, appelli e buoni auspici per le donne, la maggioranza in commissione Giustizia alla Camera bocciava un mio emendamento, che proponeva di introdurre un nuovo strumento operativo per proteggere le donne vittime di violenza: il fermo di indiziato dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi e di atti persecutori.
Uno strumento che i pubblici ministeri avrebbero potuto utilizzare, anche al di fuori dei casi di flagranza e di pericolo di fuga, con decreto motivato, quando sussistono fondati motivi per ritenere che il maltrattante possa ripetere le azioni violente, mettendo a rischio la vita o l’integrità fisica o psichica della vittima.
L’emendamento è stato bocciato anche in Aula, nonostante il mio appello sostenuto da tutta l’opposizione unita. Una pagina buia della retorica con cui, in ogni celebrazione ufficiale, si fanno tante chiacchiere e poca sostanza.
È bene che si sappia che questi ostacoli sono il frutto di tattiche politico-parlamentari, di bandierine, che, oltre all’offesa, arrecano danno alle donne, soprattutto verso quelle che ogni giorno sono alle prese con i loro persecutori.
Mettiamoci bene in testa che nel nostro Paese ogni tre giorni viene uccisa una donna. Dall’inizio dell’anno 17 donne sono state uccise in ambito familiare/affettivo. Nel 2022 ne sono state uccise 125. E poi c’è tutto il sommerso che non finisce sulle pagine dei giornali. Ci sono le donne che affrontano soprusi nella vita quotidiana e familiare, subiscono violenza, fisica, psicologica, economica, assistita, verbale, in rete, maltrattamenti, minacce. Madri, vittime di violenza, a cui vengono sottratti i figli per “troppo amore” o sulla base di sindromi ascientifiche. Donne che sentono di non poter chiedere aiuto o che hanno paura di chiederlo per il timore di non essere credute, perché sanno che in fondo la violenza è “sempre colpa loro”.
Di tutte loro ci si ricorda nei giorni di celebrazione o quando finiscono sulle pagine di cronaca nera o quando c’è qualcuna da piangere.
Da ultimo un caso angosciante che dovrebbe farci tutti riflettere.
Pochi giorni fa è morta nella sua casa a Frosinone, dopo una lunga malattia, una giovane mamma che aveva chiesto invano in Tribunale di poter riabbracciare un’ultima volta suo figlio, collocato presso il padre, già rinviato a giudizio per maltrattamenti. Accanto alla donna era presente la figlia maggiore. Con lei ha atteso che arrivasse a darle un ultimo saluto il figlio dodicenne che non vedeva da oltre un anno.
Nell’ultima udienza di dicembre 2021 nonostante la richiesta di affido esclusivo alla mamma, la donna sapendo di non potercela fare per l’aggravarsi delle condizioni di salute, aveva acconsentito che temporaneamente il figlio rimanesse con il padre. Poi ad aprile 2022, a seguito di una ctu, fu stabilito – senza prendere in considerazione il rinvio a giudizio dell’uomo – che il bambino potesse stare dal padre e che dovesse essere portato dalla mamma una volta al mese. Ciò non è mai avvenuto. Così come il codice rosso non è mai stato applicato e le informazioni non circolate in modo corretto tra Tribunale civile e penale.
La donna ha visto andar via suo figlio a gennaio 2022 e non l’ha mai più riabbracciato.
Neanche prima di morire. Non è possibile immaginare l’abisso di dolore che questa madre si è portata nel cuore fino al suo ultimo giorno.
Fa male ammetterlo ma purtroppo la giustizia si è resa responsabile di questo strazio. Io vorrei che nelle Aule di Tribunale ci fosse più formazione, specializzazione, competenza da parte di tutti gli operatori che si occupano di violenza, così come il Parlamento dovrebbe lavorare ogni giorno per tutte queste donne, impegnandosi ad andare oltre le divisioni politiche e scrivendo e approvando leggi utili e di buon senso che la società richiede.
Chi scrive le leggi dovrebbe ascoltare e interloquire con i magistrati, le magistrate, gli avvocati, le avvocate, le associazioni, i volontari e le volontarie, i cittadini e le cittadine che trattano la materia e hanno le mani in pasta lavorando al fianco delle vittime e scontrandosi in prima persona con le storture della legge. Le loro parole sono oro per chi ha l’onore di sedere in Parlamento. Invece non è così.
La bocciatura del mio emendamento rappresenta un’altra occasione sprecata per estendere la tutela delle donne vittime di violenza, ma soprattutto evidenzia la totale mancanza di ascolto e di attenzione nel contrastare un fenomeno criminale, quale è la violenza sulle donne, che dovrebbe essere combattuto al pari di tutti gli altri fenomeni criminali quali le mafie ed il terrorismo.
Purtroppo, però, le priorità di questo governo sono altre: gli abusi inesistenti sulle intercettazioni, i rave party, I karaoke, i ritornelli assurdi sulla separazione delle carriere e gli interventi, realizzati e annunciati, per indebolire il contrasto ai reati dei colletti bianchi.
Le donne non hanno bisogno di auguri, di solidarietà o, peggio, di commiserazione, ma di leggi, di pari diritti e di adeguate tutele.
Ancora una volta l’interesse politico è stato anteposto a quello dei cittadini e delle cittadine e a pagarne le conseguenze sono, come sempre, le vittime, le persone più vulnerabili, i bambini stessi. E questo non è più tollerabile.