L'ex braccio destro del boss Vincenzo Milazzo, poi diventato collaboratore di giustizia (e in seguito uscito dal programma di protezione) è stato trovato senza vita all’interno di una villetta di contrada Bosco alla Falconeria, in una strada tra Alcamo e Partinico, in provincia di Palermo. In casa non ci sono segni d’effrazione né tracce di violenza sul corpo. In corso l'esame del medico legale
Lo hanno trovato morto all’interno di una villetta, non lontano da Alcamo, il suo comune d’origine. S’indaga sulla morte di Armando Palmeri, ex braccio destro del boss Vincenzo Milazzo, poi diventato collaboratore di giustizia. L’uomo era senza vita all’interno di una villetta di contrada Bosco alla Falconeria, in una strada tra Alcamo e Partinico, in provincia di Palermo. A trovarlo gli uomini del 118, allertati da una telefonata. In casa non ci sono segni d’effrazione né tracce di violenza sul corpo. In corso l’esame del medico legale, con l’intervento dei carabinieri del Ris. Le indagini sono condotte dai militari del nucleo investigativo di Palermo, coordinati dalla procura del capoluogo siciliano.
Storico braccio destro del boss Milazzo, 62 anni, Palmeri era poi diventato un pentito. Alcuni anni fa era uscito dal programma di protezione, ma aveva continuato a essere ascoltato in vari processi di mafia. Tra le altre cose, aveva raccontato che nella primavera del ’92, ad Alcamo, si tennero tre incontri tra uomini dei Servizi segreti e il suo capomafia. Oggetto dell’incontro: le stragi da consumare in Italia nel 1993. “Volevano mettere in atto una strategia di destabilizzazione dello Stato con bombe e attentati”, ha detto davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria il 14 giugno del 2018. Imputati al processo ‘Ndrangheta stragista, condannati all’ergastolo in primo grado, erano il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, ritenuto al vertice della ‘Ndrangheta reggina: entrambi sono accusati degli attentati a due carabinieri. Due omicidi inseriti nel contesto stragista.
Una strategia che, secondo Palmeri, era stata ispirata anche da entità esterne a Cosa nostra. Come pezzi dei servizi, appunto. “Da quegli incontri Milazzo usciva molto turbato“, ha aggiunto il pentito rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo. “Mi diceva: questi sono pazzi scatenati e che quello che volevano fare avrebbe portato alla fine di Cosa nostra e che non avrebbe portato beneficio a nessuno. Milazzo non era favorevole ma rispondeva con un ‘Ni’ a quel progetto. Se avesse detto no sarebbe stato un gran rifiuto e ci avrebbero ammazzato”. E in effetti Milazzo sarà poi assassinato nell’estate del 1992. “Venne attirato in un tranello da Antonino Gioé, Leoluca Bagarella, Gioacchino Calabrò. Io queste cose le apprendo da Gioé. Lui mi disse di aver sparato a Milazzo. Perché fu ucciso? Lui mi disse che lo uccise per evitare che a farlo fosse Brusca. Comunque doveva morire. Dopo la sua morte sul movente furono dette una moltitudine di corbellerie. Che aveva incassato soldi, che aveva dato noia alla moglie di un uomo d’onore, che aveva parlato male di Riina e Provenzano. Io non posso affermare con certezza il motivo ma noi eravamo consapevoli del rifiuto che aveva dato nell’affiancare alla strategia terroristica atta alla destabilizzazione dello Stato. Qualche tempo dopo fu uccisa anche la sua ragazza, Antonella Bonomo, appena ventenne e incinta. Sempre Gioé mi disse: ‘L’abbiamo dovuto fare”, è un’altra dichiarazione dell’ex pentito. Che ha deposto anche ai processi a Matteo Messina Denaro per le stragi di Capaci e via d’Amelio celebrati dalla corte d’Assise di Caltanissetta. Anche nei prossimi giorni Palmeri era atteso per deporre nella città nissena.