La Russia del 2023 come l’Europa occidentale del Tardo Medioevo e della prima Età Moderna? Il paragone è azzardato dal punto di vista storico, ma rende molto bene l’idea se consideriamo che non da oggi si assiste a un proliferare di “compagnie militari private” che, mutatis mutandis, sono l’alter ego contemporaneo e tecnologico delle compagnie di ventura ma anche dei pirati che operavano sotto una “patente di corsa”. In Russia assistiamo, infatti, a una “privatizzazione della forza” che è un fenomeno unico nel mondo post Rivoluzione francese: se i regimi nazifascisti avevano fatto ampio uso di milizie di partito, comunque inquadrati istituzionalmente una volta preso il potere, oggi gli apparati e le agenzie governative del gigante euroasiatico sembrano impegnati in un processo di esternalizzazione della forza che potrebbe avere conseguenze interne profondamente inquietanti per la società russa.
Se tutti ormai conoscono Wagner, la più famosa (e famigerata) delle compagnie militari private, quasi nessuno sa che non è la sola. L’oligarca Gennady Timchenko ne ha una, Redut, nata anni fa per proteggere i suoi investimenti e poi impiegata in Siria e Ucraina. Persino una delle più grandi compagnie energetiche russe, Gazprom, ha creato di recente la propria organizzazione paramilitare. Ma non intendono solo proteggere le proprie infrastrutture, come stabilisce già dal 2007 la legislazione russa. No, stavolta lo fanno per operare come “prestatore di servizi” anche al di fuori dei compound dell’azienda: insomma, per mettersi in concorrenza con Wagner in giro per il mondo e, un domani, nella Russia stessa.
Non è un mistero che il Cremlino e vari ministeri intendano indebolire la posizione del “patron” di Wagner, Prigozhin, impedendogli di costituire un monopolio della “sicurezza privatizzata” in Russia. La creazione di eserciti privati e strutture paramilitari concorrenti è intesa a sostituire o diminuire la presenza di Wagner nei Paesi ricchi di risorse e con élite bisognose di protezione, ma anche per ridimensionarne le ambizioni politiche in patria. Di questo non fa mistero lo stesso Prigozhin, secondo cui la vera sfida alla sua “creatura” e a lui stesso non viene dagli americani, che non hanno mezzi per allontanare Wagner dall’Africa e dal Medio Oriente, ma dalla Russia stessa, dove molti potenti vorrebbero allontanarlo anche dall’Ucraina.
Fra tutte le “altre” organizzazioni, una merita alcune considerazioni. Dal 2014 è attivo in Donbass un appaltatore “della sicurezza” denominato Patriot, direttamente collegato al ministero della Difesa russo e controllato dal ministro Sergei Shoigu: nel mese di febbraio 2023 risultava operante nell’area di Vuhledar, nell’Ucraina meridionale, luogo di recenti colossali perdite per l’esercito russo.
Le prime notizie su “Patriot” risalgono al periodo 2014-2018: molte fonti concordano sul fatto che la compagnia all’epoca fosse composta principalmente da militari russi professionisti con una significativa esperienza di combattimento e che pagasse ai suoi miliziani stipendi monstre (dai 6mila ai 15mila dollari al mese), dalle tre alle cinque volte più di Wagner. Ovviamente, parliamo di contratti brevi: il co.co.co. della guerra dura due-tre mesi, in linea generale. Prima del conflitto in Ucraina sembra che Patriot si occupasse soprattutto di fornire protezione a leader e miliardari “impresentabili” dei Paesi in via di sviluppo: anche se Wagner è sempre stata più attiva in ambito combat, questa “divisione dei compiti” non è bastata a evitare un conflitto al momento in cui l’azienda di Prigozhin fu scelta per la protezione delle miniere d’oro nella Repubblica Centrafricana invece di quella del ministro della Difesa. Che non deve averla presa bene, anche perché l’intelligence del suo ministero negli anni ha investito parecchio in Patriot, imbottendola di ex membri delle proprie forze speciali, i famigerati spetsnaz. Né sono mancati a Patriot i buoni uffici con gli altri vertici dello Stato, coordinandosi spesso col ministero degli Esteri, le forze aerospaziali e l’FSB, l’ex KGB: per questo dal 2018 ha operato anche in Siria. È singolare che il ministero della Difesa russo sia desideroso di diventare un investitore nella crescente (ma formalmente illegale) industria russa di appaltatori militari privati.
Secondo molti analisti anglosassoni, inquietante è il fatto che entità di questo tipo, ufficialmente costituite solo per esternalizzare esigenze (para)militari all’estero, un domani potrebbero diventare fattori chiave nella lotta per il potere e il controllo del territorio nella stessa Russia, una ripetizione di quanto già successo durante il “periodo dei torbidi” (1598-1613), con mercenari ed eserciti ombra che diventano le principali autorità nel Paese. Né vale il fatto che la Russia abbia le sue forze armate: che le organizzazioni paramilitari siano assolutamente necessarie in Ucraina è di per sé un segno dello stato rovinoso delle armate russe.
Andrei Piontkovsky, analista geopolitico russo in esilio negli Usa, sostiene che questi clan in lotta per la successione a Putin si stiano preparando a proteggere ciò che già hanno e contendersi i vasti beni che saranno disponibili dopo il crollo del regime. Con macabra ironia, Prigozhin alla vigilia di Capodanno ha regalato mandarini e fatto gli auguri ai prigionieri di guerra ucraini dicendo che “è ora di finire la guerra e fare del vero business”.