Le violenze di Napoli sono “la punta di un iceberg” e, mentre l’indagine va avanti, “già si può dire che abbiamo assistito a qualcosa di eclatante” in cui “si è superato ogni limite”. Per Sergio Amato, procuratore aggiunto a Napoli, gli scontri in occasione del ritorno degli ottavi di Champions League non sono stati “un episodio imprevedibile”.
Quello delle violenze nel mondo ultras, sostiene il magistrato in un’intervista a La Stampa, è “un fenomeno degenerativo di condotte violente” in cui “gli episodi si ripetono con frequenza ravvicinata e crescente”. Oltre alle tensioni nel centro storico di Napoli, ricorda la guerriglia in autostrada vicino ad Arezzo di due mesi fa e il furto dello striscione dei Fedayn fuori dallo stadio Olimpico messo a segno dagli ultras della Stella Rossa Belgrado.
Nelle ultime settimane, inoltre, si è assistito a scontri in occasione di Paganese-Casertana e in diverse altre occasioni durante partite di Serie C e D. “Ma nella quotidianità – sottolinea Amato – se ne perde di vista la progressione lineare”. Una questione di sottovalutazione? A suo avviso, no. Piuttosto “c’è un indebolimento dell’efficacia della prevenzione, che si fa su due livelli: quello poliziesco di strada e quello giudiziario, nei tribunali”.
Ed è sul secondo che si concentra, perché sull’aspetto dell’adeguatezza dell’ordine pubblico “non è un giudizio che mi compete” né “riesco a immaginare un dispositivo alternativo”. Il problema, insomma, è “sul piano giudiziario” perché si è diffuso un “senso di impunità”. La radice di quello che Amato individua come il fulcro del problema è “un trend ventennale”, sostiene: “Il sistema penale è inefficace sia sul piano cautelare, sia su quello processuale, sia su quello esecutivo delle pene”.
Il risultato? “Si affievolisce la portata dissuasiva nei confronti di certi soggetti – spiega ancora il procuratore aggiunto – Questo fa crollare tutto lo sforzo che si fa sulla prevenzione. Queste persone, in genere pregiudicate, hanno poco da perdere”. Alle violenze, dice, seguono “un paio di giorni agli arresti, poi un lungo processo dagli esiti incerti”. Nel quale, aggiunge, sono contestati reati con pene contenute come lesioni e danneggiamenti. “Nella peggiore delle ipotesi – sintetizza – una condanna che difficilmente li riporterà in carcere, senza dire degli sconti con i riti alternativi”.
È per questo, a suo avviso, che “ritroviamo gli stessi soggetti protagonisti a breve distanza dalla scarcerazione”. Persone che “non temono obbligo di firma e Daspo”. Così nasce una “miscela esplosiva” fatta di “indebolimento della fase cautelare e ineffettività della pena”. Resta il problema legato a come gli ultras vivano la partita che “è ormai solo un’occasione, tanto che ci si ingaggia in violenze anche se la partita non riguarda la propria squadra”.
E il ‘palco’ delle violenze si è spostato “dall’interno dello stadio all’esterno” con le “comunicazioni via social consentono di prescindere dallo stadio come arena di violenza”. La soluzione per Amato è “mettersi attorno a un tavolo” e “ragionare su una legislazione un po’ datata” nonché “razionalizzare una legislazione schizofrenica, che per esempio ha reso eccezionale il ricorso alle misure cautelari”. Perché il principio della presunzione di innocenza – “che capisco e rispetto”, precisa Amato – presuppone “tempi rapidi per il processo”. Nei Paesi che fanno “ricorso limitato al carcere preventivo” si arriva a sentenza “in 6 mesi, non in 5 anni”, conclude Amato.