Valentina Piccoli è partita dopo la laurea a Roma e un tirocinio a Catanzaro. E in Francia ha costruito una carriera che in patria sarebbe difficile. “Per raccontare gli italiani all’estero della mia generazione bisognerebbe capire quali aspettative sono state disattese”
“L’Italia ha un potere che non percepivo quando ci abitavo”. A parlare è Valentina Piccoli, insegnante di italiano di 33 anni trapiantata in Francia da cinque. Cresciuta a Catanzaro, si è trasferita a Roma per gli studi universitari in Lettere moderne e poi ha costruito la sua strada altrove. L’occasione di partire è arrivata nel 2017: “Avevo iniziato un tirocinio in Calabria per il programma governativo Crescere in digitale – racconta ilfattoquotidiano.it – Nello stesso periodo ho fatto domanda per il servizio civile all’estero. Partecipai perché tra le mete c’era Parigi”. Innamorata della cultura francese, vince il bando e fa le valigie senza pensarci due volte. “Avevo sempre sognato questa città attraverso film e libri – dice – a spingermi a partire è stato il suo fascino. L’attrazione col tempo si affievolisce, ma tuttora quando faccio una passeggiata sono colpita dalla bellezza”. La scelta arriva quando non ha ancora avviato la sua carriera. Da neolaureata, la sua esperienza di lavoro in Italia prima di andarsene era di pochi mesi e da stagista. “Non so come sarebbe andata la mia vita se fossi rimasta – spiega – forse avrei fatto altro”.
Dopo il servizio civile inizia con attività di promozione della cultura italiana in Francia e decide che insegnare la sua lingua agli stranieri sarà una parte importante della sua professione. “Questa prospettiva di carriera era già contemplata nel mio orizzonte, ma Parigi mi ha dato la possibilità di realizzarla”. A farle apprezzare davvero il mestiere è quella specie di magia che avverte nei francesi quando parlano dell’Italia: “Francia e Italia sono molto simili – dice Piccoli – ma la nostra lingua e nostra cultura a Parigi possiedono un potere di attrazione che porta i francesi a cercare mete turistiche, corsi di lingua e attività che riguardano la cultura e la lingua italiana”. Gli alunni di Valentina sono per lo più bambini delle elementari, ma ci sono anche classi di adulti che conseguono certificazioni come Cils. In tutti i casi, gli studenti sono per lo più madrelingua francesi che scelgono di studiare l’italiano e lo coltivano per anni in Francia.
“C’è forte interesse verso la nostra cultura – spiega Piccoli – è una lingua che qui viene studiata dopo l’inglese e lo spagnolo ma chi ci arriva lo fa perché è appassionato dell’Italia, ci è stato o vuole viaggiarci”. Nel sistema di istruzione francese si fa attenzione alle lingue straniere fin dai primi anni: i bambini vengono formati su varie culture alla scuola primaria in modo da potere scegliere con più consapevolezza quali studiare alle medie. A finanziare queste formazioni sono i governi di alcuni paesi esteri, tra cui l’Italia, che diffonde le tradizioni nazionali attraverso associazioni come quella in cui lavora Piccoli.
A tornare in Italia per fare un mestiere simile, Valentina in effetti ci ha provato. È successo nel 2022, quando è rientrata per partecipare al concorso a cattedra indetto dal Ministero dell’Istruzione: “Mi sono presentata ma non è andata”, spiega. E non è l’unica: soltanto il 10% dei partecipanti ha superato la prova scritta e gli orali sono ancora in corso a distanza di circa un anno. Nel frattempo, le scuole continuano a reclutare supplenti. Potrebbe riprovare l’esame, ma non c’è all’orizzonte la nuova data di selezione dei docenti. Questa è tra le poche differenze che Piccoli nota tra Italia e Francia: “Nel campo dell’insegnamento, il governo francese bandisce ogni anno un concorso per i diversi gradi scolastici, dalla scuola primaria al liceo. In Italia invece ho avuto la possibilità di accedere al concorso a cattedra soltanto l’anno scorso, ma mi sono laureata nel 2014”.
Nel tempo, Valentina ha cercato di crearsi un profilo spendibile sia in Italia che all’estero, anche se non sente la necessità di tornare. “Mi rendo conto adesso dopo cinque anni di aver costruito una carriera binaria. Ho ottenuto certificazioni come il Ditals, per esempio, anche perché sapevo mi avrebbe dato punti in Italia. Ma non mi sono mai impuntata”. A spingerla a rientrare potrebbe essere per lo più la nostalgia di casa: “Vorrei accorciare le distanze dai miei cari – spiega – Ma non mi riconosco nella definizione di ‘cervello in fuga’ e penso che il fenomeno della migrazione all’estero meriterebbe un racconto più complesso. Bisognerebbe analizzare aspettative riposte e disattese della generazione alla quale appartengo”.