Una storia dalla trama intricata in cui si rischia di perdersi ma ci aiuta a sbrogliarla la madre di Cristina, Marisa Degli Angeli, che in questi trent’anni non ha smesso per un solo giorno di chiedere verità e giustizia per sua figlia
Una ragazza inghiottita dal nulla in un pomeriggio di settembre, un silenzio che dura decenni e un convento che è teatro della misteriosa sparizione. Sembra la storia di Elisa Claps e invece è quella di Cristina Golinucci, la cui vicenda ricorda molto quella della ragazza potentina. Nelle scorse settimane, dopo 30 anni di oblio e indagini cadute nel vuoto, si riapre il caso della 21enne di Cesena scomparsa il primo settembre del 1992 davanti al convento dei frati Cappuccini, sulle colline della sua città.
La Procura di Forlì ha deciso di riaprire le indagini sulla scia delle testimonianze di due donne che sarebbero state molestate nel 1992 da un uomo che gravitava intorno all’ambiente cattolico di cui faceva parte anche la Golinucci. Verrà anche riesaminato il corpo di Chiara Bolognesi, 18enne ritrovata nel fiume Savio il 31 ottobre del ’92 – un mese e mezzo dopo la scomparsa di Cristina – la cui morte fu subito archiviata come suicidio. Le due ragazze di Cesena condividevano lo stesso mondo, quello del volontariato. I loro destini potrebbero essere intrecciati tra loro e a quelli due altre due ragazze che in quegli anni sarebbero state vittima di presunte violenze sessuali mai denunciate.
Una storia dalla trama intricata in cui si rischia di perdersi ma ci aiuta a sbrogliarla la madre di Cristina, Marisa Degli Angeli, che in questi trent’anni non ha smesso per un solo giorno di chiedere verità e giustizia per sua figlia. La madre di Cristina è anche tra le attiviste della prima ora dell’Associazione Penelope, fondata nel 2002 a Potenza su iniziativa di Gildo Claps, il fratello di Elisa. Alla riapertura delle nuove indagini avrebbe dato una forte spinta anche un recente rapporto a cura dei legali di Penelope. “Sono stanca ma devo farcela. Ho tante cose ancora da dire. La storia di Cristina è molto simile a quella di Elisa Claps. La comunità cattolica non ha agevolato le indagini. Io e mio marito siamo stati abbandonati, lui è morto nel 2001, si è ammalato. Era pieno di rabbia e dolore. Allora le autorità decisero che si trattava di allontanamento volontario e non cercarono mia figlia. Io nei primi mesi ho difeso il convento, era la seconda casa di Cristina. Poi però Padre Lino in una lettera mi scrisse: credevo che il dolore facesse male al cuore e non alla testa, quasi a dire che ero una matta”, lì ho aperto gli occhi, racconta la donna a FqMagazine.
Chi era Padre Lino?
Era il padre spirituale di mia figlia, il suo frate confessore, adesso è morto. Il giorno successivo alla scomparsa andai a bussare alla sua porta per chiedere notizie di Cristina ma lui mi trattò con indifferenza. Disse di non averla attesa lì fuori quel giorno, come era solito fare ma di essersi reso conto solo alle 15 del fatto che Cristina non fosse ancora arrivata. Disse anche di non aver notato la sua 500 azzurra nel parcheggio.
Ci aiuta a ricostruire le ultime ore con sua figlia?
Quel giorno, Cristina andò via da casa alle 13,55 per salire su al convento dei Cappuccini. Voleva condividere con Padre Lino l’esperienza del campo scuola come educatrice. So che aveva anche conosciuto un ragazzo, forse voleva parlargliene. Alle 13,30 telefonò al frate e gli chiese di incontrarsi per le 16,30 ma lui le disse che poteva riceverla al massimo per le 14,30. “Mamma, ci vediamo stasera”, furono le sue ultime parole per me. Quella sera mi avrebbe dato una mano a organizzare la festa per il Millenario della Pieve. Era una ragazza che si dava molto da fare. Quel pomeriggio aveva un colloquio di lavoro, si era appena diplomata come ragioniera e ogni tanto faceva le dichiarazioni dei redditi. Lavorava anche con noi nei campi, non voleva pesare sulla famiglia.
Quando ha iniziato ad allarmarsi?
Alle 19, non vedendola rientrare, mi sono preoccupata e sono andata su dai Cappuccini. Non c’ero mai stata. Trovammo la sua auto nel parcheggio. Un frate mi disse che quando era arrivato, alle 15, era già lì. Padre Lino mi disse che non l’aveva vista arrivare. Per i primi due anni, dopo la scomparsa, siamo impazziti, eravamo soli. Eravamo impreparati, un po’ ingenui forse, siamo dei contadini. La mia famiglia era la mia gioia, lavoravo per quello. Per costruirci la casa in campagna, tutti insieme, con i miei fratelli. Le mie figlie erano libere. Non c’era motivo di fuggire.
Quando c’è stata una prima svolta nelle indagini?
Nel ’94 ci contattò l’avvocato Carlotta Mattei. Poteva esserci un nesso tra la scomparsa di Cristina e un caso di stupro. Una ragazza raccontò che un uomo di colore, dopo averla violentata, aveva tentato di ucciderla ma fortunatamente riuscì a liberarsi. Accadde davanti al convento da dove scomparve mia figlia. Questa ragazza non si è mai più ripresa dal trauma.
Fu accusato il sudafricano Emanuel Boke.
Boke è stato rilasciato per buona condotta dopo aver scontato quattro dei sette anni in carcere a cui era stato condannato, per lo stupro di quella ragazza. Dicevano che era un bravo ragazzo, che lo stupro era stato un incidente. Era arrivato in Italia nel ’92 come perseguitato politico ed era ospite del convento anche quando scomparve Cristina. Si dice possa essere in Francia adesso. Nel 2010 la Mattei ha provato a rintracciarlo facendo richiesta all’Interpol che però non ha mai risposto.
Gli inquirenti hanno scartato Boke perché all’epoca non aveva un mezzo di trasporto per portare la ragazza in un altro luogo e occultarne il corpo. Lei ha ancora dei dubbi?
Nel ’95, Padre Lino andò a trovarlo in carcere e lui gli disse: “Sì, l’ho uccisa io. Sono un animale, Dio mi perdoni”. Il frate non gli chiese spiegazioni perché il tempo era scaduto, ci disse. Un anno dopo, lo ha riferito alle autorità ma Boke negò di averlo mai detto. Il ’95 fu l’anno del silenzio, non potei nemmeno organizzare il sit-in per volontà degli inquirenti. Nel ’96 mi dissero che non erano riusciti a trovare nulla di risolutivo e che “il convento era un muro di gomma”. Sempre nel ’96, era il 27 novembre, mi arrivò una lettera anonima, scritta col normografo. C’era scritto: “È ora che sappiate la verità. L’ha presa e l’ha uccisa Boke”. Corremmo con la lettera al commissariato. Il Pm non la ritenne attendibile. La portai anche al direttore del Resto del Carlino e anche lui, dopo essersi consultato con il Pm, non volle pubblicarla.
Oltre alla lettera sono arrivate tante telefonate anonime, in questi anni, al Parroco di Ronta don Ettore Ceccarelli, pastore nella chiesa del quartiere Ravennate. Una in particolare, diede una segnalazione importante su Cristina
Qualche anno fa, qualche anno prima di morire, don Ettore mi ha firmato in calce una testimonianza in cui dichiarava di una telefonata in cui una voce maschile gli segnalò all’epoca che Cristina era morta e che le sue spoglie si trovavano nelle acque del Tevere, a Roma, nei pressi di un convento di Cappuccini dove erano alloggiati anche due frati di Cesena. Le ricerche nel Tevere non sono state mai fatte.
Il 2010 è stato un altro anno cruciale
Nel 2010, dopo che trovarono Elisa Claps, il neo-prefetto Penta (avevamo già fondato Penelope) decise per una perquisizione nel convento con il georadar ma non trovarono nulla a parte le ossa di 30 frati morti da più di cent’anni. Pochi mesi dopo, ero al banco di Penelope a Cesena, durante una fiera, quando mi si avvicinò una donna. Mi disse che potevamo aiutarci a vicenda. La invitai a casa. Venne e mi raccontò che sua figlia era stata stuprata da un ragazzo che frequentava la Chiesa all’Osservanza, a Ponte Abbadesse, poco lontano dai Cappuccini. Era andata dai carabinieri per la denuncia ma gli avevano detto di starsene zitta. Questa persona era un volontario conosciuto. Avrebbero dovuto fermarlo. Anche il mio avvocato è andato dai carabinieri ma non hanno fatto nulla.
Potrebbe essere il cosiddetto predatore su cui sta indagando adesso la procura?
Sì, Questa persona frequenta ancora la Chiesa. Ma adesso vedo qualche spiraglio. Ho fiducia nel nuovo Pm nominato dalla Procura di Forlì. Mi ha detto un giorno: sono anch’io madre, farò del mio meglio. L’ispettore Giorgio Di Munno ha messo mano al malloppo di carte su mia figlia. Stanno tessendo la rete. Il mio più grande rammarico è che sono persone credenti a non darmi la verità. La verità su Cristina per me è l’unico modo per renderle giustizia, vorrei solo che i suoi resti riposassero insieme a quelli di suo padre. A volte mi dico che Dio l’ha presa con sé per un motivo, per far scoppiare questa bomba. Non la farò dimenticare. Incontro ancora persone che la conoscevano e tacciono la verità. Chi sa, parli. Chi copre è colpevole anche verso una madre che ha perso sua figlia.