La donna non si era appropriata degli importi incassati: il magistrato ha ritenuto dunque che la lavoratrice non andasse licenziata, ma solo sanzionata. Le sono stati riconosciuti il reintegro e 50mila euro di risarcimento
Una cassiera aveva dimenticato di fare alcuni scontrini e per questo motivo l’azienda per cui lavorava, dopo un’iniziale contestazione, l’aveva licenziata senza preavviso. Ma il giudice ha deciso di annullare il provvedimento e ha predisposto il reintegro della dipendente nel punto vendita di una società multinazionale a Fiuggi. La donna non si era appropriata degli importi incassati: il magistrato ha ritenuto dunque che la lavoratrice non andasse licenziata, ma solo sanzionata. Per questa ragione il tribunale di Frosinone ha accolto nei giorni scorsi il ricorso della lavoratrice: le sono stati riconosciuti 50mila euro, oltre alla regolarizzazione contributiva previdenziale ed assistenziale. Ora la dipendente ha anche la facoltà di rinunciare al reintegro in cambio del pagamento di ulteriori 15 mensilità, ossia di altri 60mila euro.
La multinazionale aveva accertato che la dipendente, in alcuni casi, aveva dimenticato di emettere gli scontrini fiscali, cosa che però provvedeva a fare in un secondo tempo, nella stessa giornata. Gli scontrini erano dunque solo “ritardati” e non si verificava nessun ammanco di cassa. Secondo la società, la condotta della dipendente minava comunque il rapporto di fiducia con l’azienda e la logica conseguenza era il recesso immediato: tesi contestata dalla dipendente, che aveva impugnato il licenziamento in tronco, per poi fare ricorso davanti al Tribunale di Frosinone. L’avvocato Giorgio de Santis, che assiste la lavoratrice, ha sostenuto che qualora non si sia in presenza di una fattispecie di appropriazione indebita e, così di una omessa scontrinatura del dipendente al fine di appropriarsi degli importi di cui agli scontrini non battuti, non ricorrono i presupposti per intimare il licenziamento, potendo al più il dipendente ricevere un provvedimento disciplinare di tipo conservativo.
La tesi dell’avvocato è stata sostenuto dal Tribunale che ha ritenuto non “sussistenti gli estremi del licenziamento”, pur ritenendo accertato il fatto alla base del recesso. Inoltre, sempre a sostegno delle tesi del legale della donna, il giudice, nel dichiarare l’illegittimità dell’impugnato licenziamento disciplinare, ha ritenuto che ci fossero gli estremi per il reintegro e il risarcimento del danno pari a tutte le mensilità in cui la donna è rimasta senza lavoro.