Il 4 marzo del 1995 fu trovato senza vita all’interno della sua auto, parcheggiata nel cortile del comando della Legione carabinieri di Palermo, poco distante dalla sede del Ros dove lavorava. La morte di Antonino Lombardo, il maresciallo che aveva contribuito all’arresto del superboss Totò Riina, era stata immediatamente liquidata come un “suicidio in caserma”: i colleghi e i magistrati erano convinti che Lombardo avesse deciso di togliersi la vita perché logorato dai sospetti di legami con una famiglia mafiosa che gravavano su di lui. A favorire l’ipotesi del suicidio una lettera-testamento che era stata trovata nell’auto insieme al corpo del maresciallo. Ma la Procura, su richiesta della famiglia del maresciallo che ha sempre negato l’ipotesi del suicidio, ha deciso di riaprire il caso. La notizia è riportata dal Corriere della Sera.
Le indagini erano state chiuse senza nemmeno effettuare l’autopsia, contro il parere dei famigliari di Lombardo e soprattutto del maggiore dei figli, Fabio: la famiglia non si è mai rassegnata all’idea del suicidio. Per questo ha chiesto la riesumazione del cadavere e un controllo accurato sulla traiettoria del proiettile. Fabio Lombardo, che ha continuato negli anni a consultare diversi avvocati, si è rivolto nell’ultimo periodo al penalista Salvatore Trina, che ha affidato la lettera-testamento e le carte relative alla pistola di Lombardo a due periti di parte: la grafologa Valentina Pierro e il professore esperto di armi e balistica Gianfranco Guccia. Gli esperti mirano a dimostrare che le parole scoraggianti riportate nella lettera non siano opera di Lombardi ma di qualcun altro, e che il proiettile che ha colpito il maresciallo alla tempia non sia partito dall’arma in dotazione dell’uomo, ma da un’altra dello stesso calibro.
Le due perizie, che saranno confrontate con le altre che presto saranno dispostedalla procura, potrebbero accendere i riflettori anche sulla presunta responsabilità di alcuni colleghi del maresciallo. Numerosi i dubbi su incomprensioni ed errori compiuti in quegli anni da investigatori e giudici, a partire dalla mancata perquisizione della villa di Riina, catturato nel 1993, due anni prima dell’ipotetico “suicidio” di Lombardo: nelle immagini di repertorio è possibile vedere quel giorno il maresciallo salire a bordo dell’elicottero che portò via “il capo dei capi”, per poi subito dopo essere ripreso durante un dialogo con il boss Gaetano Badalamenti, allora in carcere negli Stati Uniti.
Foto del profilo Facebook di Fabio Lombardo