Ambiente & Veleni

Pfas in Veneto, non solo veleni nelle acque: a rischio prescrizione il processo sulla morte di tre operai e i gravi danni fisici subiti da altri 18

È un capitolo quasi dimenticato che si basa su due accuse: l’omicidio colposo aggravato e le lesioni colpose aggravate. Al netto del rischio prescrizione, la Procura non ritiene di chiedere il rinvio a giudizio perché “non sono emersi nessi di causalità tra l'esposizione ai Pfas e i decessi”, mentre solo per 10 su 18 lavoratori in vita è stato rilevato “un nesso eziologico"

Nell’inferno della Miteni. L’eredita della fabbrica di Trissino che produceva sostanze perfluoroalchiliche, i Pfas, non è costituita solo dalle acque di falda inquinate in tre province del Veneto (Vicenza, Verona e Padova), fenomeno che interessa direttamente 350mila persone e per il quale è in corso da oltre un anno un processo per disastro ambientale. C’è anche il dramma degli operai, che si è consumato – anno dopo anno – dentro i reparti, con patologie gravi causate dalle lavorazioni a contatto con la chimica, dalla dispersione di fumi e di polveri, dal mancato rispetto delle norme di sicurezza previste sui luoghi di lavoro. È un capitolo quasi dimenticato, che rischia di finire in nulla a causa della prescrizione, a dispetto delle agghiaccianti testimonianze dei dipendenti, contenute in decine di pagine di verbali che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare.

Fanno parte di un fascicolo su cui hanno lavorato in particolare i carabinieri del Noe di Treviso e i tecnici dello Spisal dell’Ulss 3 Serenissima. Riguarda il decesso di tre operai e le patologie che hanno colpito altri 18 lavoratori, che nel 2019 hanno presentato gli esposti assieme alla Cgil e alla Filctem-Cgil di Vicenza. Ad occuparsi di questa inchiesta rimasta finora coperta è stato il sostituto procuratore Alessia La Placa, che nel giugno 2020 ha però presentato richiesta di archiviazione, con una motivazione di un’ottantina di pagine. A seguito dell’opposizione delle parti offese, si è approdati all’udienza del 16 marzo di fronte al gup Roberto Venditti, lo stesso magistrato che nel 2021 aveva rinviato a giudizio 15 manager della Miteni e di Mitsubishi per l’inquinamento. L’udienza è stata rinviata all’8 giugno per la discussione in camera di consiglio.

OMICIDIO COLPOSO E LESIONI – All’inizio c’era la società Rimar (Ricerche Marzotto) fondata nel 1964 con sede a Trissino nelle scuderie dei conti ed imprenditori tessili. Nel 1967 si trasferì in località Colombara e cominciò la produzione di sostanze perfluoroalchiliche, da utilizzare per l’impermeabilizzazione di tessuti. Nel 1988 fu acquistata da Enichem Sinthesys (51%) e Mitsubishi Corporation (49%), diventando Miteni. Nel 2009 Mitsubishi Corporation cedette l’intero pacchetto alla Icig, società di investitori specializzata nell’acquisizione di società chimiche. L’inquinamento di falda risale al 2013, nel 2018 il fallimento. Le accuse sono due. Innanzitutto l’omicidio colposo aggravato di tre dipendenti: il primo morì nel 2006 per un linfoma non Hodgkin e un carcinoma alla pleura, il secondo nel 2010 per un carcinoma polmonare, il terzo nel 2014 per un carcinoma uroteliale. Le lesioni colpose aggravate riguardano 18 dipendenti per diverse patologie: ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, asma, noduli, tumori, problemi epatici, esaurimento nervoso.

MEDICO DELLA MITENI TRA I 19 INDAGATI – Sono 19 gli indagati, che hanno ricoperto ruoli di vertice o di controllo sulla sicurezza nelle diverse proprietà Miteni. Ecco l’elenco: Brian Mc Glynn, consigliere o presidente (2007-2017); Luigi Guarracino, direttore operativo o amministratore delegato (2009-2015); Mario Fabris, direttore tecnico (2005-09); Davide Drusian, procuratore con delega alla sicurezza (2007-10 e 2011-2018); Mauro Cognolato, procuratore con delega alla sicurezza (primo semestre 2011); Mario Mistrorigo, procuratore con delega alla sicurezza (1999-2007); Patrick Schnitzer, amministratore delegato Icig (dal 2006), consigliere Miteni (2009-14); Achim Riemann, cosigliere Icig e Miteni (2009-14); Alexander Smit, presidente (2009-2012); Luigi Mortillaro, presidente Miteni 1992-96; Hideo Enomoto (deceduto nel 2013) è vicepresidente e presidente; Yuji Suetsune, presidente o consigliere delegato (2006-09); Naoyuki Kimura, presidente (2003-06) e general manager Mitsubishi Corporation; Junichi Komamura, vicepresidente o presidente (1996-2003); Fabio Esposito, consigliere delegato con delega alla sicurezza (2003-06); Flavio Pizzolato, procuratore speciale alla sicurezza (2001-2004); Carlo Maria Gloria, consigliere e vicepresidente (1996-2005), anche con delega alla sicurezza e gestione stabilimento; Francesco Cenzi, procuratore speciale alla sicurezza (2012-17). C’è infine Giovanni Costa, medico competente prima di Rimar, poi di Miteni dal 1978 al 2016, che si occupava della sorveglianza sanitaria aziendale.

AREE CRITICHE E SOSTANZE – Suddivisi in tre aree operative gli impianti producevano perfluorurati, fluoroaromatici e derivati del benzotrifloruro. C’erano poi un servizio Ricerca e Sviluppo e un Impianto Pilota. Inizialmente si producevano i perfluorurati a catena lunga con otto o più atomi di carbonio (Pfoa e Pfos), dal 2013 Pfas a catena corta (C604 e GenX).

RICHIESTA CHOC – La Procura, sulla base di una perizia scientifica (coordinata dal professore Enrico Pira dell’università di Torino, consulente in numerosi processi per danni ambientali o di lavoro), non ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, nonostante abbia accertato evidenti irregolarità nello stato degli impianti, nella valutazione dei rischi e nelle tutele dei lavoratori. Infatti ci fu sottovalutazione del rischio, vennero usati parametri di calcolo non adeguati, alcuni impianti erano obsoleti, c’era promiscuità fra i reparti, non sempre era previsto l’utilizzo di sistemi di protezione individuale, non tutti gli impianti di aspirazione funzionavano, le produzioni non avvenivano in condizioni ottimali. Eppure per i periti “non sono emersi nessi di causalità tra l’esposizione ai Pfas e i decessi”, mentre solo per 10 su 18 lavoratori in vita è stato rilevato “un nesso eziologico, in termini di concausalità, tra esposizione alle sostanze e l’ipercolesterodemia (eccesso di colesterolo prolungato per anni, ndr)”. Ma in questi casi scatterebbe la prescrizione del reato, che va calcolata dal momento di insorgenza della “malattia caratterizzata da evoluzione nel tempo”. I periti fissano l’insorgenza prima del 2000 e quindi la prescrizione scatterebbe in alcuni casi già dal 2006. Anche se alcuni lavoratori avevano una concentrazione di 90mila nanogrammi di Pfas per litro di sangue. Naturalmente avvocati e consulenti di lavoratori e Cgil contestano questa conclusione, preannunciando battaglia legale per l’8 giugno.