Approvato in Commissione un nuovo metodo di lavoro: d'ora in poi, per le nomine dei vertici di Procure e Tribunali, i consiglieri dovranno obbligatoriamente valutare i candidati anche alla luce delle loro conversazioni con l'ex pm radiato. Una piccola rivoluzione, perché nella scorsa consiliatura le chat sono state usate con una logica a "geometrie variabili" a seconda del candidato: in qualche caso state valorizzate all'estremo, in altri completamente ignorate
Cambio di passo, nell’attesa di una svolta, nel percorso di rinnovamento al Consiglio superiore della magistratura. Dopo un intenso confronto, la quinta Commissione di palazzo dei Marescialli – che si occupa dell’assegnazione degli incarichi direttivi – ha approvato all’unanimità un nuovo metodo di lavoro sulla tormentata vicenda delle chat di Luca Palamara, che hanno svelato, una volta rese pubbliche, come per anni pm e giudici di tutta Italia abbiano cercato l’appoggio dell’ex leader dell’Associazione nazionale magistrati per occupare le poltrone di vertice di Procure, Tribunali e Corti. D’ora in poi, per ogni nomina all’ordine del giorno, i consiglieri dovranno acquisire tutte le eventuali conversazioni tra l’ex pm radiato e gli aspiranti alla carica, per valutarne l’incidenza sui prerequisiti di imparzialità, indipendenza ed equilibrio sanciti dal Testo unico sulla dirigenza, il “manuale di istruzioni” per scegliere i capi degli uffici. A questo scopo, a ciascuno dei cinque membri della Commissione sarà fornita una chiavetta Usb con l’intero corpus dei messaggi acquisiti dalla Procura di Perugia, già in possesso del Csm per le valutazioni disciplinari.
Si tratta di una piccola rivoluzione copernicana, perché nella scorsa consiliatura – come denunciato da molti – le chat sono state usate con una logica a “geometrie variabili” a seconda del candidato: in qualche caso sono state valorizzate all’estremo in senso negativo, in altri completamente ignorate. Per uniformare al massimo le valutazioni su vicende passate, inoltre, su proposta della quinta Commissione il Consiglio aprirà una discussione interna sulla valenza deontologica delle auto-promozioni, per fissare l'”asticella” sotto la quale quel malcostume – diffuso negli scorsi al punto da diventare la regola – dovrà essere considerato irrilevante. Superando quindi la cosiddetta “dottrina Salvi“, la circolare del 2020 dell’ex procuratore generale della Corte di Cassazione Giovanni Salvi che aveva escluso la rilevanza disciplinare del fenomeno. Per il futuro, invece, c’è chi propone addirittura la “tolleranza zero“: l’idea è di approvare una normativa interna che faccia divieto ai magistrati di intercedere presso i consiglieri – per sè o per altri – ai fini dell’ottenimento di incarichi o vantaggi personali.
Una soluzione, quest’ultima, che d’altra parte sarebbe nello spirito del progetto di codice etico per i consiglieri redatto dall’Encj (Rete europea dei Consigli di giustizia, la struttura che riunisce gli organi equivalenti al Csm negli Stati membri dell’Unione europea) arrivato nei giorni scorsi a palazzo dei Marescialli: i consiglieri, si legge, “devono rimanere indipendenti da qualsiasi influenza interna o esterna e devono sempre evitare di ricevere indicazioni da qualsivoglia individuo, istituzione, organo o ente”. Inoltre, “dovrebbero rimanere indipendenti nei confronti di ogni possibile gruppo di pressione tanto all’interno quanto all’esterno della magistratura. Tali gruppi comprendono, ma non si limitano a, poteri economici o politici, i media, l’opinione pubblica e le organizzazioni professionali”. Non solo: è previsto che “i componenti dei Consigli di giustizia dovrebbero sforzarsi di evitare divisioni in gruppi (maggioranze contro minoranze) con visioni e opinioni diverse all’interno del Consiglio”. Insomma, se adottato in questo testo, il progetto di codice imporrebbe lo scioglimento dei gruppi delle correnti al Csm. Ma forse questo sarebbe chiedere troppo.