Si chiude l'operazione a tre miliardi di franchi: l'obiettivo era raggiungere un accordo prima dell’apertura dei mercati lunedì. La Banca centrale svizzera ha offerto una linea di liquidità per 100 miliardi di franchi. Il presidente della confederazione Alain Berset: "La soluzione migliore per riportare fiducia". A rischio 10mila posti di lavoro
Accordo raggiunto: Ubs acquista Credit Suisse. Arriva in extremis domenica sera l’ufficialità della conclusione positiva della trattativa per mettere in sicurezza il colosso svizzero e allentare le pressioni sull’intero settore bancario. L’obiettivo infatti era raggiungere un’intesa entro lunedì mattina ed evitare scenari peggiori alla riapertura dei mercati. Ubs ha rivisto al rialzo a tre miliardi di franchi la sua offerta (inizialmente era di un miliardo) e ha ricevuto l’assist decisivo dalla Banca centrale svizzera, che concederà fino a 100 miliardi di franchi svizzeri di liquidità a Ubs per sostenere la sua acquisizione di Credit Suisse. Un’operazione con la quale è stata “trovata una soluzione per assicurare la stabilità finanziaria e tutelare l’economia svizzera in questa situazione eccezionale”, afferma la stessa Banca centrale svizzera. “E’ la soluzione migliore per riportare fiducia”, sottolinea il presidente della confederazione svizzera Alain Berset. Festeggiano anche il Tesoro americano e la Fed che in una nota danno il benvenuto all’accordo. Così come la numero uno della Bce, Christine Lagarde che definisce le decisioni prese “determinanti per ripristinare condizioni di mercato ordinate ed assicurare la stabilità finanziaria”.
“Il Credit Suisse aveva perso la fiducia sui mercati ed era necessario e indispensabile una soluzione rapida per ridare stabilità”, ha aggiunto Berset nel corso della conferenza stampa che ha confermato l’acquisizione da parte di Ubs. Credit Suisse “è considerata come una delle trenta banche sistemiche. Il suo destino quindi non è solo decisivo per la Svizzera, le sue imprese, i suoi clienti e i suoi dipendenti ma per la stabilità dell’intero sistema finanziario”. Le autorità svizzere sottolineano però che le nozze avranno un impatto su migliaia di posti di lavoro di Credit Suisse. Secondo indiscrezioni, dall’unione saranno persi 10mila posti.
Ubs paga più di 0,50 franchi svizzeri per azione, in aumento rispetto all’offerta iniziale di 0,25 franchi, ma molto al di sotto del prezzo di chiusura di venerdì di 1,86 franchi. Si tratta di una transazione interamente azionaria e il prezzo è una frazione di quello di Credit Suisse alla chiusura dei mercati di venerdì, quando la banca era valutata circa 8 miliardi di dollari. L’operazione, si legge nella nota della banca centrale svizzera, “è stata resa possibile dal sostegno della Confederazione, dell’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (Finma) e della Banca nazionale svizzera (Bns). Entrambe le banche hanno accesso illimitato agli schemi di finanziamento esistenti della Bns, tramite i quali esse possono ottenere liquidità dalla Banca nazionale secondo le Direttive sugli strumenti di politica monetaria”.
Inoltre, conformemente all’ordinanza di necessità del Consiglio federale, Credit Suisse e Ubs “possono ottenere un sostegno di liquidità sotto forma di prestito con privilegio nel fallimento per un ammontare massimo complessivo di 100 miliardi di franchi. Oltre a ciò, e sulla base dell’ordinanza di necessità del Consiglio federale, la Banca nazionale può concedere a Credit Suisse un sostegno di liquidità sotto forma di prestito assistito da garanzia della Confederazione contro il rischio di insolvenza per un ammontare massimo di 100 miliardi di franchi“. La Banca centra svizzera sottolinea infine che “l’ampia erogazione di fondi fa sì che entrambe le banche possano disporre della liquidità necessaria“.
Le trattative fra Credit Suisse e Ubs sono iniziate mercoledì, affermano le autorità svizzere illustrando le nozze fra i due colossi. La Svizzera ha concesso a Ubs 9 miliardi di franchi, circa 9,7 miliardi di dollari, di garanzia per coprire potenziali perdite. Ubs ridurrà drasticamente la banca d’investimento di Credit Suisse, in modo che l’entità combinata costituirà non più di un terzo del gruppo risultante dalla fusione, hanno affermato fonti vicine al dossier. Ubs aveva infatti sollevato perplessità per le perdite accumulate e per gli scandali di cui è stata protagonista. L’accordo arriva pochi mesi dopo che la Saudi National Bank e la Qatar Investment Authority hanno iniettato quasi 3 miliardi di franchi in Credit Suisse nell’ambito di un aumento di capitale di 4 miliardi di franchi. Sono i due maggiori azionisti della banca e detengono congiuntamente il 17% delle azioni.
Il pressing degli Usa – Ai lavori per chiudere un’intesa rapidamente hanno partecipato anche le autorità americane, considerato che Credit Suisse e Ubs hanno significative attività negli Stati Uniti e sono considerate importanti a livello di sistema. Per il Tesoro americano l’accordo fra i due colossi svizzeri potrebbe tradursi in una minore pressione sulle banche regionali americane, e soprattutto su First Republic. L’istituto è stato oggetto di una pioggia di vendite nell’ultima settimana, archiviata a Wall Street in calo del 72% nonostante l’iniezione da 30 miliardi di dollari da parte delle 11 maggiori banche americane. Colpita da una serie di downgrade da parte delle maggiori agenzie di rating, First Republic sta valutando le sue alternative, inclusa una raccolta di capitale tramite la vendita di azioni in un collocamento privato. Una decisione sulle prossime mosse è attesa anche in questo caso prima dell’apertura dei mercati di lunedì, quando potrebbe essere annunciata l’acquisizione di Signature Bank da parte di Bank of America.
Lo spezzatino – Intanto sempre le autorità americane si avviano a uno spezzatino di Silicon Valley Bank dopo non essere riuscite a trovare un acquirente adatto per rilevare il 100% della banca fallita. La Federal Deposit Insurance Corp, l’agenzia federale di assicurazione dei depositi, sembra intenzionate a separare la banca in almeno due parti e procedere con la loro vendita. La banca californiana è fallita nel giro di 72 ore a cavallo dello scorso fine settimana, generando un’ondata di paura sui mercati. Sul mercato statunitense le vendite hanno colpito soprattutto gli istituti di minori dimensioni e con caratteristiche più simili a Svb, come nel caso delle californiane Signature Bank e First Republic. Mentre da questa parte dell’Oceano è andata in crisi Credit Suisse, che già dall’autunno scorso navigava in acque agitate.