Sapendo che sarebbe stato quasi impossibile trovare per la paziente di New York un donatore adulto compatibile “dotato” della mutazione, il team medico ha invece trapiantato cellule staminali portatrici di CCR5-delta32/32 da sangue del cordone ombelicale conservato, per cercare di affrontare contemporaneamente sia il suo cancro che l’Hiv.
Trenta mesi di negatività all’Hiv senza i trattamenti antivirali. Trenta mesi senza più segni di uno dei peggiori virus degli ultimi decenni e il rischio di sviluppare l’Aids. E il tutto per una persona di una estrazione etnica che avrebbe in teoria praticamente ridotto a zero le già limitatissime possibilità, allo stato, di una soluzione definitiva. Sono questi gli importanti risultati di un nuovo studio che rafforza la battaglia della scienza contro virus e malattia. Un nuovo metodo potrebbe aver avuto successo nella guarigione della cosiddetta “paziente di New York”, una donna di mezza età affetta da leucemia e Hiv che si auto-identifica come di etnia mista. Ed è proprio nella questione “etnica” oltre che nel metodo utilizzato per il trattamento che risiederebbe il successo dello stesso. Questo metodo infatti permetterebbe un più facile “innesto” di una mutazione, assai rara tra alcune popolazioni, che si è rivelata, allo stato, efficace nell’eradicare l’Hiv.
Nello specifico sono state trapiantate cellule staminali resistenti all’Hiv dal sangue del cordone ombelicale piuttosto che da un adulto compatibile, aumentando così la possibilità di far uso della mutazione in persone di ogni estrazione etnica. I risultati completi dello studio sul caso della “paziente di New York” sono stati pubblicati in un paper sulla rivista Cell. “L’epidemia di Hiv è etnicamente diversa ed è estremamente raro che persone di colore o anche di altre etnie trovino un donatore adulto sufficientemente compatibile”, afferma Yvonne Bryson dell’UCLA-Università della California Los Angeles, che ha co-condotto lo studio con la collega pediatra ed esperta di malattie infettive Deborah Persaud della Johns Hopkins University School of Medicine. “L’uso delle cellule del sangue del cordone ombelicale amplia le opportunità per le persone di origini diverse che vivono con l’Hiv”.
Quasi 38 milioni di persone in tutto il mondo vivono con l’Hiv e i trattamenti antivirali, sebbene efficaci, devono essere presi per tutta la vita. Il “paziente di Berlino” (poi morto di leucemia)è stato il primo a essere guarito dall’HIV nel 2009, e da allora anche altri due uomini, il “paziente di Londra” (la cui guarigione fu riportata su Lancet) e il “paziente di Düsseldorf”, si sono liberati del virus. Tutti e tre avevano ricevuto trapianti di cellule staminali come parte dei loro trattamenti contro il cancro e, in tutti i casi, le cellule del donatore provenivano da adulti compatibili o “abbinati” portatori di due copie della mutazione CCR5-delta32, una mutazione naturale che conferisce resistenza all’Hiv impedendo al virus di infettare le cellule. Solo l’1 per cento circa dei bianchi è omozigote per la mutazione CCR5-delta32 ed è ancora più raro in altre popolazioni. Questa rarità limita la possibilità di trapiantare le cellule staminali – che portano la mutazione benefica – in pazienti di colore dato che i trapianti di cellule staminali di solito richiedono una forte corrispondenza tra donatore e ricevente.
Sapendo che sarebbe stato quasi impossibile trovare per la paziente di New York un donatore adulto compatibile “dotato” della mutazione, il team medico ha invece trapiantato cellule staminali portatrici di CCR5-delta32/32 da sangue del cordone ombelicale conservato, per cercare di affrontare contemporaneamente sia il suo cancro che l’Hiv. La paziente ha ricevuto il suo trapianto nel 2017 presso la Weill Cornell Medicine grazie a un team di specialisti in trapianti guidati dai Dottori Jingmei Hsu e Koen van Besien. Il suo caso faceva parte dell’International Maternal Adolescent AIDS Clinical Trials Network (IMPAACT), un progetto sponsorizzato dai National Institutes of Health, l’agenzia per la ricerca medica Usa, ed è stato co-approvato dall’Adult Aids Clinical Trials Network (ACTG). Le cellule del sangue del cordone ombelicale sono state infuse insieme alle cellule staminali di uno dei parenti della paziente per aumentare le possibilità di successo della procedura. “Con il sangue del cordone ombelicale, potresti non avere tante cellule e ci vuole un po’ più di tempo per popolare tutto corpo dopo che sono state infuse”, aggiunge Bryson.
“L’uso di una miscela di cellule staminali di un parente compatibile del paziente e di cellule del sangue del cordone ombelicale permette di dare una spinta alle cellule del sangue del cordone ombelicale”. Il trapianto ha messo in remissione la leucemia della paziente e contrastato l’Hiv, e questo processo dura ormai da più di quattro anni. Trentasette mesi dopo il trapianto, la paziente è stato in grado di interrompere l’assunzione di farmaci antivirali per l’HIV. I medici, che continuano a monitorarla, affermano che ora è negativa all’Hiv da più di 30 mesi da quando ha interrotto il trattamento antivirale (al momento in cui è stato scritto lo studio, erano passati solo 18 mesi). Va precisato che a causa dell’invasività della procedura, i trapianti di cellule staminali (sia con che senza la mutazione) sono presi in considerazione solo per le persone che necessitano di un trapianto per altri motivi, e non per affrontare solo l’Hiv; prima che un paziente possa sottoporsi a un trapianto di cellule staminali, deve sottoporsi a chemioterapia o radioterapia per distruggere il suo sistema immunitario esistente. “Questo studio sottolinea l’importanza di avere cellule CCR5-delta32/32 come parte dei trapianti di cellule staminali per i pazienti affetti da Hiv, perché finora tutte le cure riuscite sono state basate su questa popolazione di cellule mutate “, afferma la Persaud. “Se hai intenzione di eseguire un trapianto come trattamento del cancro per qualcuno con l’Hiv, la tua priorità dovrebbe essere quella di cercare cellule che siano CCR5-delta32/32 perché allora puoi potenzialmente ottenere la remissione sia per il cancro che per l’Hiv”. Gli autori sottolineano che è necessario uno sforzo maggiore per lo screening dei donatori di cellule staminali per trovare la mutazione CCR5-delta32. “Con il nostro protocollo, abbiamo identificato 300 unità di sangue del cordone ombelicale con questa mutazione in modo che se qualcuno con l’Hiv avesse bisogno di un trapianto domani, sarebbe disponibile”, afferma la Bryson, “ma è necessario fare qualcosa su base continua per cercare queste mutazioni e sarà necessario il sostegno delle comunità e dei governi”.
Gianmarco Pondrano Altavilla