Nell’Europa meridionale il rischio di scarsità dell’acqua è già elevato per un livello di riscaldamento globale di 1,5° Celsius e l’Italia è soggetta a diversi problemi comuni ai Paesi del Mediterraneo, alcuni dovuti a peculiarità del cambiamento climatico, altri alla particolare vulnerabilità di ecosistemi e settori produttivi. Si va dalle precipitazioni, all’intensità del caldo estivo e alle coste vulnerabili, che potranno mettere a rischio il turismo. Agire ora, e non a metà secolo, è l’unica speranza per riuscire a contenere il riscaldamento globale entro 1,5° Celsius, evitando la devastazione già descritta anni fa dagli scienziati del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico. Questo obiettivo può essere ancora centrato, ma solo se si raggiunge il picco delle emissioni di gas serra il prima possibile, riducendole poi rapidamente negli anni immediatamente successivi. Oggi il riscaldamento è arrivato a +1,1°C rispetto ai livelli preindustriali, ma siamo sulla strada che porta a un aumento della temperatura media globale che può raggiungere i 3,5°C. La pubblicazione del rapporto di sintesi (Syntesis Report) del Sesto Rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu rappresenta una revisione completa, per la quale centinaia di scienziati hanno lavorato otto anni, di tutto ciò che l’uomo sa rispetto alla crisi climatica.
La lunga negoziazione – Era inizialmente prevista per venerdì, ma l’approvazione è arrivata domenica, durante una sessione durata una settimana a Interlaken. Dietro le quinte, la battaglia tra Paesi ricchi e quelli in via di sviluppo su obiettivi di emissione e aiuti finanziari alle nazioni vulnerabili. Cina, Brasile, Arabia Saudita, ma anche Stati Uniti e Unione Europea hanno fatto pressioni sulla stesura dei messaggi chiave. Sul tavolo non c’era la possibilità di modificare i contenuti scientifici, ma di ‘negoziare’ il contenuto destinato ai decisori politici (Summary for Policy Makers). Di fatto, se nel 2018 l’Ipcc ha lanciato l’allarme su cosa sarebbe accaduto se non si fosse riuscito a contenere il riscaldamento globale entro 1,5° Celsius tagliando le emissioni globali di circa il 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2010 e, cinque anni dopo, la sfida è ancora più complessa a causa del continuo aumento delle emissioni e di piani governativi insufficienti, il rapporto ribadisce i concetti di gravità e urgenza, ma mantiene viva la speranza. Anche se legata al sottile filo di un’azione di contrasto al climate change di non facile attuazione. “Questo Rapporto di sintesi sottolinea l’urgenza di intraprendere azioni più ambiziose e dimostra che, se agiamo ora, possiamo ancora garantire un futuro sostenibile e vivibile per tutti” ha dichiarato il presidente dell’Ipcc Hoesung Lee. “La bomba climatica scandisce i secondi, ma il rapporto Ipcc è una guida pratica per disinnescarla. Il limite di 1,5° C è realizzabile, ma ci vorrà un salto di qualità nell’azione per il clima” ha commentato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres.
Otto anni di report da presentare alla Cop 28 – Questo atto finale integra i risultati dei tre gruppi di lavoro che in otto anni si sono dedicati ad altrettanti volumi (‘Basi fisico-scientifiche’ del 2021, ‘Impatti, adattamento e vulnerabilità’ e ‘Mitigazione’, entrambi pubblicati nel 2022), ma anche dei rapporti speciali usciti nel 2018 (‘Riscaldamento globale 1.5’) e nel 2019 (‘Cambiamento climatico ed ecosistemi terrestri’ e ‘Oceano e Criosfera in un clima che cambia’). Il report è la base di partenza per le decisioni che verranno prese a novembre, nel corso del prossimo vertice delle Nazioni Unite sul Clima, la Cop 28 di Dubai. Lucia Perugini, ricercatrice al Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) in particolare sui temi legati alle foreste e agli ecosistemi terrestri, partecipa ai negoziati sul clima dal 2003. “Durante le sessioni – spiega – il panel Ipcc si occupa di negoziare, con il supporto degli autori, il contenuto del riassunto per i decisori politici (Summary for Policy Makers)”. In pratica, i governi discutono la forma con cui le informazioni sono trasmesse ai decisori politici, con messaggi “politicamente rilevanti ma non prescrittivi”.
Gravità e urgenza – Come spiega la ricercatrice, il rapporto evidenzia la gravità della situazione: l’aumento della temperatura al di sopra di 1,5°C rispetto ai livelli pre-industriali molti ecosistemi e popolazioni non potranno più adattarsi ai cambiamenti. Non solo quelli delle piccole isole, ma anche delle regioni dipendenti dallo scioglimento dei ghiacciai e della neve. La seconda parola chiave è ‘urgenza’: “Dobbiamo correggere le nostre traiettorie emissive e raggiungere il picco delle nostre emissioni entro il 2025, per evitare un overshoot (un aumento temporaneo delle temperature oltre 1,5°C)” aggiunge Lucia Perugini. Maggiori saranno l’entità e la durata di questo overshoot, più ecosistemi e società saranno esposti. Nel frattempo “siamo sulla strada che porta a un aumento della temperatura media globale che può raggiungere i 3,5°C”.
I rischi per Europa: ondate di calore, agricoltura in crisi, siccità e inondazioni – Anna Pirani, autrice del Rapporto di Sintesi e a capo dell’Unità di supporto tecnico al primo gruppo di lavoro, quello sulle basi fisico-scientifiche, spiega che ormai “alcuni cambiamenti non possono essere evitati, ma limitando il riscaldamento possiamo rallentarne molti e, in alcuni casi, anche arrestarli”. Con un riscaldamento globale di 2°C e oltre, l’Europa sperimenterà la combinazione di differenti cambiamenti climatici già entro la metà del secolo: aumento del riscaldamento, temperature estreme, diminuzione del manto nevoso, aumento di siccità e aridità nell’Europa centrale e meridionale. Le precipitazioni diminuiranno al Sud del continente e aumenteranno al Nord, mentre si registrerà un aumento del livello medio ed estremo del mare. Piero Lionello, autore principale del capitolo dedicato all’Europa, spiega come il report identifichi quattro categorie di rischi-chiave per il continente. In primis quelli prodotti dalle ondate di calore su popolazioni e ecosistemi: il numero di decessi e persone a rischio di stress da calore raddoppierà o triplicherà per un innalzamento di 3°C, rispetto a 1,5°C. Ma il riscaldamento ridurrà gli habitat adatti agli attuali ecosistemi terrestri e marini e cambierà irreversibilmente la loro composizione, con effetti la cui gravità aumenta già al di sopra del livello di riscaldamento globale di 2°C. Poi ci sono i rischi per la produzione agricola: nel XXI secolo, caldo e siccità causeranno perdite sostanziali delle produzioni agricole per la maggior parte delle aree europee. Per quanto riguarda la scarsità di risorse idriche, se nell’Europa centro-occidentale questo rischio diventa molto alto con un innalzamento di 3°C, in quella meridionale è già elevato sopra 1,5°C. E poi ci sono i rischi prodotti da maggiore frequenza e intensità di inondazioni. “A causa dell’aumento delle precipitazioni estreme in molte aree europee e dell’innalzamento del livello del mare lungo praticamente tutte le coste (un’eccezione è la penisola Scandinava) – spiega Lionello – i rischi per le persone e le infrastrutture derivanti dalle inondazioni costiere, fluviali e pluviali aumenteranno in molte regioni d’Europa”.
L’Italia, un Paese vulnerabile – L’Italia è soggetta ai rischi tipici dell’Europa Mediterranea, alcuni dovuti a peculiarità del cambiamento climatico, altri alla particolare vulnerabilità di ecosistemi e settori produttivi. “Le peculiarità del cambiamento climatico sono legate all’attesa diminuzione della precipitazione (con conseguenze sulla disponibilità di risorse idriche), in contrasto con la tendenza all’aumento a scala globale e nel Nord Europa – aggiunge Lionello – e alla particolare intensità del riscaldamento estivo (superiore di circa il 50% di quello medio globale)”. Altri rischi sono legati alla vulnerabilità delle coste “dove insediamenti e strutture sono frequentemente collocati poco al di sopra del livello medio del mare” e all’importanza economica del settore turistico. Settore che andrà incontro ai rischi diretti del cambiamento climatico e a quelli indiretti legati all’implementazione di politiche di mitigazione. Oltre a questo, il report sottolinea la “vulnerabilità degli ecosistemi terrestri e marini, minacciati anche da altri fattori legati alle attività dell’uomo” come lo sfruttamento selvaggio delle risorse e l’inquinamento.
La terza parola chiave: la speranza – Il rapporto, però, analizza diverse soluzioni: la transizione dai combustibili fossili alle rinnovabili, la gestione sostenibile delle foreste e dell’agricoltura, la protezione delle foreste. “Spesso assistiamo ai dibattiti che prendono in considerazione, come alternative, le possibilità di assorbimento delle emissioni (tramite rimboschimenti o tecnologie CCS – Carbon Capture and Storage) o la loro riduzione – commenta Lucia Perugini – oppure che creano una competizione tra una fonte di energia rinnovabile e l’altra. Ma scienza è chiara: dobbiamo sfruttare tutte le opzioni a disposizione e dobbiamo farlo ora”. Come sottolinea Elena Verdolini, senior scientist del Cmcc e autrice del rapporto Ipcc sulla mitigazione “non siamo in linea con gli obiettivi definiti dall’Accordo di Parigi, ma le evidenze scientifiche dimostrano che già oggi abbiamo a disposizione tecnologie e soluzioni per raggiungere quanto concordato nell’accordo di Parigi”. Tecnologie e innovazioni, però, da sole non bastano: “Sono invece necessari anche cambiamenti comportamentali”, oltre al fatto che “le politiche climatiche sono veramente efficaci solo se coordinate con quelle industriali, sanitarie, finanziarie, fiscali, eccetera”.