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Fichi d’India, Max Cavallari: “Andavo a trovare Bruno, all’inizio era nella clinica di Lamberto Sposini, li facevo divertire. Oggi penso di esserci andato troppo poco…”

di F. Q.

Dopo la morte di Bruno Arena, il 22 settembre del 2022, a Max Cavallari “è mancata la terra sotto i piedi”. Lo racconta il comico in una lunga intervista al Corriere della Sera anche, se, precisa: “Tutto è iniziato molto prima”. A Varese, i due che poi sarebbero diventati i Fichi d’India, abitavano vicino ma Max di simpatia per Bruno non ne aveva: “Aveva sei anni in più, era quello grande, il ras dell’oratorio. Ed era quello bastardo: mai una volta che mi facesse giocare a calcio, a basket, a palla avvelenata o a nascondino. “Tanto chi ti cerca?”. Avevo otto anni e già non lo sopportavo. Mi divertivo a dargli il tormento…”. Poi l’amicizia, la carriera. E l’aneurisma che ha cambiato tutto: “Lo andavo a trovare e lo vedevo lucidissimo, in un corpo non suo. Forse per questo sono andato da lui troppo poco. Nella clinica dove è stato ricoverato all’inizio c’era anche Lamberto Sposini. Li facevo divertire, che gare in carrozzina”. Il numero 17, spiega, Cavallari, “Bruno lo sapeva che gli portava male”: “Dalle sue agende il 17 di ogni mese era cancellato, una riga dopo l’altra. Nel 1984 il primo incidente, quello in auto che gli ha lasciato le cicatrici sulla fronte, è avvenuto il 17: uno gli aveva tagliato la strada”. E il 17 anche il malore durante la registrazione di una puntata di Zelig: “Continuo a chiedermi se avrei potuto accorgermi di qualcosa. C’era la giacca intrisa di sudore, aveva litigato con uno degli autori: ci chiedevano i ritmi di Ahrarara ma la nostra età ormai era quella che era. Lui sale sul palco carico, troppo. Deve fare il dinosauro. Cade a terra, il pubblico pensa a una gag e ride. Inizia a sbattere un braccio. Silenzio. C’è un medico? No. Dicono: è una congestione. L’ambulanza parte in giallo. Invece era un aneurisma. Speravo migliorasse e invece non migliorava. Non avevo più voglia di fare nulla. Alla fine, però, con lui vicino ho capito di dover tornare sul palco. Un po’ per entrambi”. Cavallari ha scritto un libro, “Non spegnere la luna”, che la storia dei Fichi d’India: “Lo ripetevo a Bruno. Qualsiasi cosa succeda, non spegnere la luna. Lui mi guardava, non parlava, so che capiva. Ogni tanto accennava ad alzare il dito medio…”. E ancora, con malinconia: “Lo andavo a trovare, oggi penso non abbastanza. Lo andavo a trovare poco: faceva malissimo vederlo così. Non riuscivo a fare niente, non mi alzavo dal letto, non riuscivo a fare gli spettacoli. Senza di lui non ero più io. Sono stato fermo più di un anno”.

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