Decine di manifestazioni spontanee e raggruppamenti in tutta la Francia per protestare contro il passaggio definitivo della riforma delle pensioni. Pochi minuti dopo che si è diffusa la notizia della bocciatura della mozione di sfiducia per l’esecutivo, gruppi di militanti e cittadini sono scesi in strada in tutto il Paese dando vita a proteste spontanee. Nella capitale sono stati segnalati anche degli scontri: vicino a Palais Bourbon, sede dell’Assemblea Nazionale, hanno tirato oggetti alla polizia che cercava di disperderli e sono partite alcune cariche con lancio di lacrimogeni. Nel cuore di Parigi sono stati anche incendiati cassonetti e mucchi di spazzatura lasciati a bordo strada a causa degli scioperi dei netturbini che vanno avanti da settimane. I manifestanti hanno raccolto l’invito dei sindacati e delle opposizioni, “con questo voto non cambia nulla”, dicono. E chiedono “il ritiro” della riforma. All’Eliseo, l’unica decisione presa al momento sembra essere stata quella di dormirci su una notte in più: Emmauel Macron riceverà domani mattina Elisabeth Borne, poi domani sera alle 19.30 tutti i parlamentari della maggioranza.

Il Paese rischia il blocco, le raffinerie chiudono, gli studenti sono pronti a scendere in piazza, i trasporti, la nettezza urbana, la sanità, tutti i settori sono pronti a dare battaglia “fino al ritiro” della riforma, come ripetono Mélenchon e tutti i sindacalisti, più uniti che mai. Se nelle piazze i francesi si radunano nonostante i divieti – molti sono studenti, anziani, persone tranquille, anche se piccoli gruppi si battono contro la polizia – dai saloni dell’Eliseo trapela agitazione. Nove voti potrebbero non bastare a garantire il governo di Elisabeth Borne, che potrebbe essere sacrificata nelle prossime ore per consentire un cambio di guida.

In serata la premier ha fatto sapere – andando all’Eliseo per un incontro con il presidente – di voler “continuare” il suo percorso ed ha ribadito che “la riforma delle pensioni è essenziale per il Paese”. Da un punto di vista istituzionale, la sinistra ha già presentato un ricorso al Consiglio costituzionale per possibili problemi di legittimità della legge di riforma. Inoltre, la sinistra si propone di intraprendere il difficile percorso del cosiddetto “referendum di iniziativa condivisa”, una forma di consultazione varata nel 2015 che prevede l’iniziativa di un quinto dei parlamentari e di un decimo degli elettori (che nel caso della Francia sarebbero circa 4,5 milioni di firme, un obiettivo non scontato).
Sul piano politico, ci si attende soprattutto che Emmanuel Macron, finora riservato sul percorso tutto in salita della sua riforma, prenda finalmente la parola per ritrovare sintonia con i francesi. Gli analisti osservano un “Paese spaccato”, con un presidente che vorrebbe “passare ad altro” dopo la riforma delle pensioni ma che appare più che mai isolato politicamente e ai minimi della popolarità nel (al 28%, come ai tempi dei “gilet gialli”).

La giornata decisiva, molto attesa, si è presentata un’aula parlamentare piuttosto surreale, con Aurore Bergé, presidente del partito Renaissance di Macron, ed Elisabeth Borne, a difendersi da sole di fronte all’esercito di dichiarazioni di voto ostili da sinistra, dall’estrema destra, e dal centro del Liot, il partito che ha presentato la mozione di censura “transpartisane” votata da 278 deputati, 9 in meno dei 287 che sarebbero stati necessari perché la sfiducia passasse. A sostenere le due rappresentanti della maggioranza non c’erano neppure i deputati di Renaissance, che hanno lasciato quasi vuoti i loro banchi, quasi a non voler comparire con i loro volti in primo piano in un momento di grande impopolarità. Fischi, urla, pugni battuti sui banchi, hanno coperto le parole della Bergé e della Borne come gli applausi hanno accompagnato i sostenitori della mozione. Poi il risultato, pochi voti in meno della maggioranza assoluta dell’Assemblée, con ben 19 Républicains su 61 che hanno disobbedito all’indicazione dei capi del partito di non votare le mozioni contro il governo. Poco più tardi, il risultato di 94 voti raccolto da Marine Le Pen con la sua mozione, votata dai suoi e da altri 6 deputati.

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