Cultura

“Pani dua, un bocal di vino”: la lista della spesa geniale. Nelle lettere restaurate la vita di Michelangelo: i consigli del padre, i pensieri sulle donne

I dialoghi a distanza con papi e architetti, ma anche le comunicazioni con i parenti: dagli scritti di uno dei più grandi artisti di tutti i tempi emerge la "normalità" di tutti i giorni, venata anche di simpatia

di Marco Ferri

Oltre 2mila lettere. A tanto ammonta il patrimonio delle missive scritte (o ricevute da) Michelangelo Buonarroti, conservato a Casa Buonarroti, in via Ghibellina a Firenze. Un tesoro cartaceo che, nonostante sia conosciuto dagli studiosi e le cui trascrizioni da anni si trovino facilmente sul web, proprio per la precarietà del supporto cartaceo non possono stare sotto i riflettori, come invece meriterebbero. Per questo, per uno studioso così come per un semplice curioso o perfino per una restauratrice meticolosa, trovarsi tra le mani una “vera” lettera di Michelangelo e poter ammirare da vicino la sua calligrafia, è pur sempre una grande emozione.

Ma cosa c’è scritto in quelle lettere? Trattandosi di un patrimonio consistente, vi sono gli argomenti più disparati. C’è il Michelangelo che scrive del suo lavoro, che dà giudizi, che si rapporta a papi e architetti; ma c’è anche il Michelangelo che mantiene rapporti epistolari coi propri familiari (ebbe quattro fratelli), che si è sempre sentito responsabile del loro benessere e non ha fatto niente per nasconderlo. È proprio da queste lettere “familiari” che emerge lo spirito più popolare dell’artista, che talvolta usa espressioni oggi desuete oppure divertenti, che lascia intravedere una vena di simpatia, per lo più inaspettata.

Per esempio nella lettera dell’8 febbraio 1507 il 31enne Michelangelo scrive al padre Lodovico: “Non vi lasciate levare a cavallo“, che in pratica significa “non vi fate abbindolare”, espressione probabilmente molto usata in famiglia considerato che di lì a poco, in un’altra lettera, lo stesso Lodovico, per tranquillizzare il figlio, sempre preoccupato che l’anziano genitore potesse venire raggirato, scrive: “Io non mi lascio levare a·cchavallo a persona”, riprendendo così l’espressione popolare usata da Michelangelo qualche mese prima; la frase risulta simile a un’altra che Michelangelo utilizza in una missiva indirizzata al genitore nell’agosto dell’anno successivo, quando scrive facto fare per significare “preso in giro”.

In una lettera del dicembre 1500, preoccupato per le condizioni in cui il figlio viveva lontano da casa, Lodovico scrive a Michelangelo offrendo anche una serie di consigli per stare in buona salute: “Chom’è detto, la masserizia è buona; ma sopratutto non fare miseria: vivi moderatamente e fa’ di none stentare. E ghuardati da’ disagi sopratutto, inperò che l’arte tua, quando tu infermassi –Iddio [te] ne ghuardi- saresti uno homo perduto. E sopratutto abbiti chura al chapo: tiello chaldo moderatamente et non ti lavare mai; fatti stropicciare et non ti lavar[e]. Anchora mi dicie Bonarroto che·ttu ài uno lato che è inghrossato: e’ divien[e] per disagio o di faticha o di mangiare chose chattive e ventose, o patire freddo de’ pied[i] o umidezza”.

Sempre a livello intimo e avendo un’immagine nobiliare della propria famiglia, in una lettera del dicembre 1546 Michelangelo scrive al nipote Leonardo dimostrando di provare un po’ di vergogna per il proprio fratello Gismondo: “Però ingegniatevi di fare quello che io vi scrivo, e che Gismondo torni abitare in Firenze, acciò che con tanta mia vergognia non si dica più qua che io ò un fratello che a Sectigniano va dietro a’ buoi”.

In una lettera di fine 1550 (Michelangelo ha 75 anni) si affronta la ritrosia del nipote Leonardo verso il matrimonio: a tal proposito Michelangelo, senza troppi giri di parole, scrive il suo pensiero in fatto di rapporti con le donne e di bellezza di Leonardo stesso: “Circa il tor donna, come è necessario, io non ò che dirti se non che tu non guardi a dota, perché e’ c’è più roba che uomini solo ài aver l’ochio a la nobilità, a la sanità, e più alla bontà che a altro. Circa la bellezza, non sendo tu però el più bel giovane di Firenze, non te n’ài da curar troppo, purché non sia storpiata né schifa“.

Infine, tra i documenti cartacei conservati a Casa Buonarroti – e ormai dotati anche di chiara fama – vale la pena ricordare la “lista della spesa”, datata 1518, scritta sul retro di una lettera, in cui Michelangelo enumera i prodotti di cui ha bisogno, disegnando a fianco di ogni nome un piccolo schizzo del prodotto stesso. La lista fu destinata al suo servitore e lascia supporre che questi fosse analfabeta. Si leggono infatti “Pani dua, un bocal di vino, un aringa, tortegli, una nsalata..un piattello di spinaci..due minestre di finocchio..”. Accanto a ogni prodotto vi è il relativo disegnino, che non sarà certo un capolavoro, ma è evidente che si tratta della mano di una persona abile nel… disegnare!

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