“Mio fratello è stato assassinato 40 anni fa per ordine dei corleonesi. All’inizio dissero che era stato ucciso “per un caso” ma non era così. Adesso chiediamo di riaprire le indagini perché mancano ancora dei pezzi di verità”. Francesca Bommarito è la sorella di Giuseppe, l’appuntato dei carabinieri ucciso il 13 giugno del 1983 nella strage di via Scobar a Palermo, insieme al collega Pietro Morici e al capitano Mario D’Aleo. Tre nomi che oggi saranno letti in piazza Duomo a Milano insieme a quelli delle oltre mille vittime innocenti della criminalità organizzata in occasione della Giornata Nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia organizzata da Libera. Chi era Bommarito? “Un umile appuntato dei carabinieri che con la sua tenacia, il suo fiuto investigativo, la sua capacità di conoscere e controllare il territorio aveva intuito l’importanza di Monreale nello scacchiere complessivo di Cosa Nostra” dice di lui il magistrato Nino Di Matteo nella prefazione del libro “Albicocche e sangue” (ed. Iod) scritto dalla sorella Francesca. In questi quarant’anni, non ha mai smesso di cercare la verità sulla morte di suo fratello. Ha girato l’Italia ricercando tra gli archivi e grazie anche al suo lavoro si è arrivati alla condanna definitiva nel 2007 per Salvatore Riina, Michele Greco, Pippo Calò, Antonio “Nenè” Geraci, Giuseppe Farinella, Raffaele Gangi, Francesco Madonia in qualità di mandanti e per Michelangelo La Barbera, Francesco Paolo Anzelmo, Domenico Gangi, Giuseppe Giacomo Gambino, Salvatore Biondino in qualità di esecutori materiali. Per la famiglia però è ancora “una verità parziale” poiché non si è riusciti ad accertare le responsabilità della mafia di Monreale, quella su cui Bommarito aveva indagato. “Lui aveva messo in luce le complicità di politici e pubblici amministratori con i mafiosi – conclude Di Matteo nella prefazione al libro – e per questo fu ucciso”.
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