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Alessia Ferrante, l’influencer morta durante l’intervento di liposuzione. La difesa del medico imputato per omicidio colposo: “Faceva uso di cocaina”

I fatti risalgono al 10 aprile del 2020, quando l'influencer 37enne morì mentre si stava sottoponendo ad un intervento di chirurgia estetica, una liposuzione alle cosce

“Gli esami clinici svolti dai consulenti del pubblico ministero hanno accertato che il tutto si è verificato nell’ambito di un ‘utilizzo cronico di cocaina verosimilmente alla simultanea assunzione di alcol‘ da parte della paziente, elemento ad avviso della difesa assai rilevante per come poi gli eventi si sono drammaticamente evoluti”. E’ quanto fanno sapere a Ilfattoquotidiano.it gli avvocati Roberto Eustachio Sisto e Italia Mendicini, i difensori del dottor Francesco Reho, il chirurgo plastico che è stato rinviato a giudizio per la morte di Alessia Ferrante. I fatti risalgono al 10 aprile del 2020, quando l’influencer 37enne morì mentre si stava sottoponendo ad un intervento di chirurgia estetica, una liposuzione alle cosce. La donna andò in arresto cardiaco a causa di quello che l’autopsia ha accertato esser stato un sovradosaggio di anestetici. Inutili tutti i tentativi di rianimarla. Adesso, a quasi tre anni di distanza dalla tragedia, è arrivata la notizia che il medico che la stava operando andrà a processo con l’accusa di omicidio colposo “per aver cagionato la morte della paziente Alessia Ferrante, agendo in violazione dei doveri di prudenza, diligenza, perizia, nonché inosservanza dei protocolli sanitari su di lui gravanti quale esercente la professione medica di chirurgo plastico”. Sebbene il processo prenderà via solo nel giugno del 2024, in questi giorni la vicenda è tornata alla ribalta in quello che i legali del dottor Reho definiscono uno “spazio mediatico-punitivo”.

“Dare spazio mediatico-punitivo alla semplice verifica dibattimentale in ordine alla eventuale responsabilità dell’imputato -soprattutto per reati in cui l’evento è contro l’intenzione- significa violarla pesantemente oltre che inutilmente – scrivono gli avvocati in una nota -. Nel caso di specie poi, risulta colpita ingiustamente l’immagine di un professionista, e sempre in attesa che sia verificato ogni addebito a suo carico. Il Dott. Francesco Reho, sin dall’inizio di questa sfortunata vicenda, ha osservato, per rispetto di chi non c’è più (e non di certo per sua volontà), un pacato e liturgico silenzio. Evidentemente non è bastato per ottenere analogo atteggiamento, in attesa delle statuizioni dei giudici. Il contraddittorio fra le parti consentirà di valutare le cause di quanto accaduto e il grado di attenzione posto in essere dal professionista”.

Non è tardata ad arrivare la replica dell’avvocato Luigi Della Sala, il difensore della famiglia Ferrante, secondo cui la precisazione avanzata dai legali Roberto Eustachio Sisto e Italia Mendicini circa l'”utilizzo cronico di cocaina verosimilmente alla simultanea assunzione di alcol” non cambia la situazione: “Il giudice ha valutato che vi siano gli elementi per il rinvio a giudizio dopo aver respinto per due volte la richiesta di patteggiamento, prima a un anno, poi a un anno e quattro mesi – ha fatto sapere Della Sala al Corriere della Sera -. Le perizie hanno rilevato che non è stato l’uso di cocaina o alcol a determinare il decesso, bensì l’eccesso di anestetico. Ad ogni modo, durante la fase del dibattimento, si avrà la possibilità da ambo le parti di esporre le proprie argomentazioni. Il giudice, poi, farà le sue valutazioni”, ha concluso il legale.