Cinema

Il frutto della tarda estate, il film della regista Erige Sehiri è una gemma di affascinante taglio e preziosa fattura

Interpretato da attrici e attori non professionisti, ammantato da un’autentica giocosità romantica, l'opera annovera un titolo che ricorda Ozu, pizzica le corde della levità rohmeriana e dialoga con gli stilemi da commedia dei sentimenti alla Marivaux

di Davide Turrini

Solo su uno schermo cinematografico sotto ai rami di un frutteto può vibrare l’emozione e la passione dell’amore. Il frutto della tarda estate, diretto dalla regista franco tunisina Erige Sehiri, film d’apertura della 32esima edizione del Festival di Cinema africano, Asia e America Latina di Milano, è una gemma di affascinante taglio e preziosa fattura. Produzione low budget e un’idea di regia forte nella sua semplice e precisissima messa in scena: il pedinamento vicinissimo, quasi epidermico, frontale e primi piani, a sfiorare foglie e rami, di un nutrito gruppo di lavoranti, soprattutto donne, che raccolgono fichi in una mattina di fine estate.

Un caporalino c’è ma ha movenze goffe e fa gli occhi dolci a Fidé (Fide Fdhli). La sorella di Fidé, Melek (Feten Fdhli), palpita rapita dal ritorno da una città della costa del giovanissimo Abdou. Invece Sana (Ameni Fdhili) sta in fissa con il più grande Firas e lo fantastica come uomo virile chiedendogli di essere un po’ più tradizionalista rispetto agli altri, anche se poi lui sbocconcellando qualche fico finirà in lite con il caporale che non vorrà pagarlo. Insomma, Il frutto della tarda estate è un film dallo sguardo eterosessuale, dove Sehiri osserva e ammira con classe la sensualità femminile, il desiderio delle ragazze mai sguaiato per nuove opportunità dell’esistenza, e lo slittare deciso e orgoglioso di un’indipendenza generazionale (ci sono molto signore più cupe e meno vivaci in età sotto al frutteto a lavorare). Interpretato da attrici e attori non professionisti, ammantato da un’autentica giocosità romantica, il film della Sehiri annovera un titolo che ricorda Ozu, pizzica le corde della levità rohmeriana e dialoga con gli stilemi da commedia dei sentimenti alla Marivaux. Imperdibile anche solo per come la regista filma e fa filtrare la luce naturale rendendola tessuto poetico e quasi favolistico.

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