Il 15 luglio scorso la Corte d’assise di Cassino aveva assolto dalle accuse di omicidio volontario ed occultamento di cadavere il maresciallo Franco Mottola (ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce), la moglie Anna Maria, il figlio Marco e gli altri imputati
Per i giudici di primo grado le “prove” del processo “sono in contrasto con l’accusa” e per questo il 15 luglio 2022 avevano assolto gli imputati accusati, a vario titolo, della morte di Serena Mollicone. La procura della Repubblica di Cassino e gli avvocati dei familiari della 18enne di Arce (Frosinone) trovata morta il 3 giugno 2001 hanno depositato il ricorso in appello contro la sentenza della Corte d’assise di Cassino. A depositare il ricorso sono stati il sostituto procuratore Maria Beatrice Siravo e gli avvocati dello zio Antonio Mollicone (Dario De Santis), della zia Armida Mollicone (Federica Nardoni), della sorella Consuelo Mollicone (Sandro Salera), della famiglia del brigadiere Santino Tuzi (Elisa Castellucci).
Il 15 luglio scorso la Corte d’assise di Cassino aveva assolto dalle accuse di omicidio volontario ed occultamento di cadavere il maresciallo Franco Mottola (ex comandante della caserma dei carabinieri di Arce), la moglie Anna Maria ed il figlio Marco. Nella ricostruzione della Procura, Serena il giorno della scomparsa andò in caserma ad Arce e da qui nell’alloggio dei Mottola dove ci sarebbe stata una lite, al culmine della quale la studentessa avrebbe battuto con violenza la testa sul montante di una porta, riportando le ferite che ne hanno provocato la morte.
Assolti anche i carabinieri accusati di avere compiuto favoreggiamento nei confronti del loro comandante: l’allora vice comandante della stazione di Arce maresciallo Vincenzo Quatrale (concorso esterno morale in omicidio ed istigazione al suicidio del suo collega brigadiere Santino Tuzi, morto l’11 aprile del 2008 con un colpo di pistola al petto), l’appuntato Francesco Suprano (favoreggiamento).
L’assoluzione è avvenuta per tutti perché gli indizi, secondo i giudici, non hanno raggiunto il carattere di vera e propria prova nel corso del dibattimento. L’estensore della sentenza pubblicata lo scorso 6 febbraio spiega che “numerosi elementi indiziari, ritenuti tasselli fondamentali dell’impianto accusatorio del Pubblico Ministero non sono risultati sorretti da un sufficiente e convincente compendio probatorio”. Su tutti, il fatto che effettivamente la ragazza fosse andata in caserma il giorno della scomparsa e la compatibilità tra la ferita sulla testa di Serena e la porta sequestrata nell’alloggio dei Mottola. Riascoltando in udienza le dichiarazioni del brigadiere Tuzi prima del suicidio, la Corte ha deciso di non ritenerle attendibili in quanto “entrambe le versioni sono in ogni caso apparse contraddittorie, incerte, confuse e mutevoli, frutto di suggestioni, ricostruzioni dal medesimo effettuate sul momento, alla luce degli elementi che venivano via via offerti. In termini logici non convince, inoltre, il fatto che il medesimo non abbia alcun modo spiegato i motivi per cui avrebbe serbato il silenzio per sette anni in ordine a una circostanza così importante”.
Il ricorso in appello della famiglia fa leva su otto punti cardine. Il primo dei quali sostiene proprio l’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate nella primavera 2008 dal brigadiere Santino Tuzi. Disse di averla vista entrare nella caserma per salire nell’alloggio dei Mottola; poi ritrattò e dopo pochi giorni venne trovato morto, ucciso da un colpo di pistola: ‘suicidio’ dissero le indagini. Quelle dichiarazioni sono state giudicate inattendibili dalla Corte d’Assise. Per quale motivo Serena era andata in caserma? Secondo gli avvocati Salera e Iafrate, Serena non voleva denunciare per spaccio di droga Marco Mottola, come ipotizzato in un primo momento. Era soltanto stanca dell’atteggiamento – definito “spavaldo” – del giovane, come ribadito da numerosi testi nel corso del processo di primo grado. E la prova? È una sit (raccolta di sommarie informazioni testimoniali) del 28 febbraio 2002 di papà Guglielmo che in Questura a Frosinone riferiva di una confessione fattale della figlia in base alla quale Serena, prima dell’omicidio sarebbe stata ‘rimproverata’ da Franco Mottola. I legali ritengono che fosse andata lì per chiarire con Marco le questioni al centro del bisticcio. Altro punto. I depistaggi consumati dopo la sparizione e l’uccisione di Serena: secondo la parte civile di Consuelo Mollicone “vanno considerati in maniera unitaria”.