di Giovanni Ceriani
No, una Schlein non fa primavera. Né pace.
Figuriamoci un ticket.
Sulla guerra il Pd con Schlein ha trovato una quadra. Ma è una quadra solo retorica, cioè parolaia, cioè ipocrita. Non modifica di un millimetro la prassi, non modifica di un millimetro l’escalation in atto e il sabotaggio permanente di negoziati, accordi di pace, piani di pace. Si parla (e poco) di pace ma si finanzia (e tanto) la guerra.
Siamo dentro un delirio militarista e la “quadra retorica” raggiunta dal Pd conferma le posizioni di subalternità che sono anche della nuova segretaria e ci accompagna dritti dritti dentro la guerra, nella più completa violazione della nostra Costituzione e in spregio di chi quella Costituzione ha scritto. Se questo è l’unico loro modo per essere di sinistra, se questo è il massimo di sinistra che riescono ad esprimere, diciamo che… non ne siamo per niente sorpresi. Anzi.
Il punto è che il corpo di un partito organizzato e schierato come il Pd, non è una massa amorfa che cambia in base al cambio del vertice. Il Pd è un partito organizzato e schierato con una precisa collocazione politica (terza via blairiana), un preciso insediamento elettorale (classi agiate, ztl) e una altrettanto precisa mission (prendere voti a sinistra per fare cose di destra).
Dentro questi pilastri non c’è spazio per novità che non siano di vetrina, di lifting o radicalismo parolaio.
E tutte la volte che qualcuno, Prodi, Bersani o Zingaretti che fossero, ha provato una pur minima sterzata a sinistra, è stato presto accompagnato alla porta. Con le buone o le cattive.
La guerra che quel gruppo di potere ha dispiegato contro Conte e i cinquestelle, anche provando la morsa finale con la crisi del governo Draghi, non è cosa da nulla. Come non lo sono il rifiuto dei nove punti di Conte e il tentativo di destabilizzare la leadership sostituendola con una più “affidabile” (cioè atlantista), fino a buttarlo fuori dalla coalizione, regalando così pure alla Meloni un’autostrada elettorale. Non sono errori di gioventù o di calcolo. Sono state precise azioni politiche e di sabotaggio su cui, e attorno a cui, a mio avviso, ha lavorato scientemente il recente gruppo dirigente, in sintonia con un corpo di partito e un apparato consenzienti. E quel gruppo dirigente è ancora tutto lì, pure dietro Schlein, con i soliti Letta e Franceschini, a dispensare patenti di merito e di legittimità.
No, una Schlein non fa primavera ed il voto, questo voto sulla guerra, ne conferma la gravità e la distanza.
Bisognava almeno romperlo quel ticket e sulla guerra, la più grave e universale delle questioni oggi in campo, imprimere e testimoniare la svolta. La quadra retorica raggiunta conferma invece la “via parolaia al socialismo”, l’ennesimo mascheramento del “nuovo che avanza”, ieri “rottamatore”, oggi “intersezionale” o “fluido” che dir si voglia.
Sulla pace, resistiamo ancora, e costruiamo la nostra vera primavera, coalizzando il campo progressista, unica coerente e credibile opzione di pace e di giustizia sociale. Ricordando pure, va sempre ricordato, che comunque il voto a Schlein è stato un voto sincero, un voto di rottura, un voto di protesta, prima di tutto contro quello che è stato il Pd, quel Pd e quelle miserevoli trame.
Un voto che, ne siamo certi, sta dalla parte della pace e dei costruttori di pace, oggi certificati in aula parlamentare da determinate forze politiche e traditi da altre. Facciamo che quel voto aiuti la vera primavera progressista e di sinistra, con Conte e le agende di pace oggi in campo. Altro che ticket o quadre retoriche: qui ci vuole chiarezza, onestà intellettuale e, per questo, coraggio.
Il coraggio di scegliere da che parte stare e patirne le conseguenze (altroché godersi copertine patinate e ammiccamenti bipartisan). La Costituzione ripudia la guerra. Avanti dalla parte della Costituzione, la nostra permanente primavera.