Il concordato preventivo biennale con il fisco che il governo Meloni offrirà alle piccole e medie imprese “non è una sorta di condono“. Parola del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, che negli ultimi giorni ha fornito nuovi dettagli su come sarà tradotto in pratica l’accordo con le Entrate su una base imponibile valida per due anni e di conseguenza sulle tasse da pagare, indipendentemente da eventuali aumenti del reddito. Il responsabile economico di Fratelli d’Italia ha spiegato che avranno accesso privilegiato al nuovo istituto – mirato a “favorire l’emersione di materia imponibile” e “rendere certa la propria posizione tributaria” – i contribuenti più virtuosi sulla base degli Indici sintetici di affidabilità fiscale (Isa). Primo problema: per gli alleati leghisti gli Isa sono notoriamente fumo negli occhi. Tanto che nella delega ha trovato spazio anche la previsione del loro “graduale superamento“. La seconda grande contraddizione, se l’obiettivo non è quello di favorire chi evase, riguarda i controlli: contrariamente a quanto aveva anticipato Leo non saranno esclusi per chi firma il concordato, ma la decadenza dal beneficio arriverà solo oltre quella che si potrebbe definire una modica quantità di evasione consentita.
Partiamo dagli Isa, le “pagelle” che dal 2019 hanno sostituito i vecchi studi di settore. A febbraio lo stesso Leo ha firmato il decreto ministeriale che introduce una novantina di indicatori aggiornati. La delega vuol superarli. Ma dal Mef fanno sapere che “non è detto” che l’intenzione sia quella di eliminarli integralmente: potrebbero essere solo rivisti e utilizzati, appunto, in sede di concordato. Al netto delle potenziali tensioni nella maggioranza (Salvini chiede da anni di eliminarli), come funzionerebbe? Secondo il viceministro con delega al fisco le imprese e gli autonomi con ricavi fino a 5 milioni e un punteggio Isa superiore a 8, quello che già oggi dà accesso a una serie di benefici, dovrebbero essere i primi a poter sottoscrivere la proposta per la definizione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap formulata dall’Agenzia. Che con tutta probabilità si discosterà poco dall’imponibile dell’anno prima, posto che quei contribuenti sono considerati “in regola” dalle Entrate. Anche se sull’efficacia del sistema è lecito nutrire molti dubbi alla luce del continuo incremento della propensione a evadere l’Irpef delle partite Iva stimato nella Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva.
Stando agli ultimi dati del Dipartimento delle Finanze, relativi al 2020, i virtuosi sono in tutto 901mila, il 44% del totale (48% tra le persone fisiche, 35% tra le società di capitali). Un numero in calo rispetto al 2019, sottolinea il Mef nell’analisi, sia perché chi ha perso più ricavi causa Covid è stato esonerato dalla pagella fiscale gestita da Sose sia a causa della “migrazione di soggetti al regime forfettario, esente dalla compilazione degli indici”. Il che suscita ulteriori domande sull’iter che dovrà seguire chi, avendo optato per la flat tax, non è soggetto agli Isa ma vorrà fare il concordato.
Cosa succederà invece a quell’oltre 1 milione di società e persone fisiche che hanno Isa bassi o bassissimi e stanno quindi nel campo degli “inaffidabili”? L’intenzione di Leo sarebbe quella di rendere più impegnativa l’adesione all’intesa con il fisco. Che passerà in ogni caso, stando al testo della delega, per un “contraddittorio con modalità semplificate” con AdE, la cui proposta sarà formulata “anche utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a sua disposizione”. In linea con il proposito dichiarato all’articolo 2 di garantire il pieno utilizzo delle informazioni contenute in anagrafe tributaria, il potenziamento delle analisi del rischio e il ricorso a tecnologie digitali e soluzioni di intelligenza artificiale. Ma la congiunzione – “anche” – dà da pensare, perché sembra aprire la strada alla possibilità per gli evasori abituali di cavarsela limitandosi a dichiarare una minima percentuale di aumento dei ricavi rispetto all’anno prima, come prevedeva l’antico concordato partorito da Giulio Tremonti nel 2003. Un sistema destinato a incentivare le false fatturazioni verso società fittizie, mirate da un lato a incrementare i ricavi e dall’altro a dedurre costi inesistenti per poi spartirsi i guadagni. Tanto più che in parallelo il governo rivedrà le sanzioni penali e amministrative in materia tributaria.
La sorpresa del testo definitivo della delega è, infine, che l’adesione al concordato non farà salvi i contribuenti da successivi controlli sulle dichiarazioni (che restano obbligatorie). La formulazione però ha maglie larghissime. È infatti prevista la possibilità di decadenza dal beneficio solo se “a seguito di accertamento, risulta che il contribuente non ha correttamente documentato, negli anni oggetto del concordato stesso o in quelli precedenti, ricavi o compensi per un importo superiore a prestabilite soglie ritenute significative ovvero ha commesso altre violazioni fiscali di non lieve entità“. Insomma: una modica quantità di evasione sarebbe esplicitamente consentita, senza conseguenze.