Cinema

Delta, Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio protagonisti di un film d’autore senza eccessi e fronzoli formali

di Davide Turrini

C’è tanta dolente ed estatica serie B di una volta in questo interessante Delta di Michele Vannucci. Come in tutta la sacrosanta produzione apolitica di Groenlandia di Matteo Rovere e Sydney Sibilia il cinema è un manufatto di genere che si modella a seconda dei target di riferimento commerciale. Delta, ad esempio, non è l’epica avventura de Il primo re o le sgargianti chincaglierie alla L’incredibile storia dell’isola delle Rose, ma si rifà ad un’idea di autorialità, senza eccessi di budget o troppi fronzoli formali, compressa nell’intuizione di una ieraticità per l’immagine naturalistica che tende a veicolare il senso dell’inevitabile tragedia.

Qui si tratta di spaesamento, isolamento e nascondimento tra nebbie e canneti del delta del Po per un gruppo di pescatori di frodo slavi. Tra loro c’è Elia un barbuto ragazzone del luogo adottato dal gruppo, una sorta di silente e robusto Django del settentrione (Alessandro Borghi che parla un dialetto lombardo simile a quello de Le otto montagne) che pare risultare quello più cazzuto di tutti. Ad arginare le scorribande notturne di quelli che sembrano fantasmi invasori ci sono le guardie ittiche volontarie capitanate da Osso (Luigi Lo Cascio con un accento residuato dal modenese-bolognese de Il signore delle formiche) e dalla sorella Nani (Greta Esposito), fino a poco tempo prima attenti all’inquinamento ambientale delle grandi industrie, e che ora perlustrano le lingue della foce, denunciano ai carabinieri la pesca di frodo e difendono con differente intensità individuale la loro terra. In mezzo c’è pure il losco proprietario di un bar baraccone sul fiume che sfrutta la pesca di frodo ma senza pagare gli slavi.

Quando ci scappa il morto, anzi ce ne scappano pure di più, e tutti autoctoni, prima si rivolteranno i locali e poi Osso supererà ogni remora morale per farsi giustizia da sé. Delta diventa così l’incubatore di una violenza inusitata, esercitata soprattutto da chi non te l’aspetti (vedi la suggestione manifesta alla Cane di paglia o Un borghese piccolo piccolo), che viene addirittura protratta in una specie di ininterrotto sottofinale a due (Lo Cascio/Borghi) che è oltretutto il pezzo più pregiato dell’intera opera. Già perché Delta è un film che sembra vivere di un sacro fuoco estetico peculiare quando abbandona del tutto i dialoghi, le sembianze del racconto da sceneggiatura Mibact, e si lascia fluttuare nelle viscere dell’istintività dei protagonisti. Qualche azzimato recensore potrebbe pure farci una polemica progressista sulle ronde dei cittadini (“questa è casa nostra”) e lo sfruttamento dei poveri stranieri (peraltro cattivissimi); quando invece lo scontro, il motore dialettico di questo cinema è più sinceramente aperto, sanguinante, poco filosofico e molto alla Hill de I Guerrieri della palude silenziosa. Insomma, non si rimane indifferenti alla violenza e si parteggia di brutto (noi per Osso). In alcuni momenti della fuga di Elia sembrano riecheggiare le vicende criminali di cronaca del caso Igor il russo.

Delta, Alessandro Borghi e Luigi Lo Cascio protagonisti di un film d’autore senza eccessi e fronzoli formali
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