Applausi all’estero, problemi in casa. Fisiologici entrambi? Si vedrà. Giornata dai due volti quella della segretaria del Pd Elly Schlein. Se in Europa ha incassato i complimenti dei socialisti per la sua posizione contro il governo Meloni, a Roma hanno tenuto banco le fibrillazioni interne in vista dell’elezione dei nuovi capigruppo di Camera e Senato. Partita non semplice, quest’ultima, al netto delle parole utilizzate dalla stessa leader dem: “Sugli assetti interni ci prendiamo questi giorni per proseguire un confronto assolutamente sereno e faremo insieme le valutazioni“, ha detto a chi le chiedeva conto delle distanze con Bonaccini e il gruppo che fa riferimento al governatore dell’Emilia Romagna. Cinque giorni, quindi, per delineare il futuro del Partito democratico e soprattutto la sua unità. La data segnata in rosso è quella di martedì 28 marzo, quando in mattinata si terrà la votazione per eleggere i rappresentanti dem a Montecitorio e Palazzo Madama. Al momento l’accordo sembra lontano e l’ipotesi di una conta interna assolutamente concreta.

LO SCONTRO TRA LE DUE FAZIONI – Mentre Schlein è a Bruxelles, dentro e fuori il Parlamento continua il lavorio per trovare un’intesa. Non senza tensione. Il calendario, del resto, non concede perdite di tempo. Lunedì alle 17 si riunirà l’assemblea congiunta dei gruppi di Camera e Senato. All’ordine del giorno c’è la discussione sulla “nuova fase politica”, ma l’imperativo nella sala Berlinguer di Montecitorio sarà quello di raggiungere “l’unitarietà” sui nomi da proporre per il voto finale. Voto previsto martedì mattina, sia a Montecitorio che a Palazzo Madama. Un patto tra Schlein e Bonaccini non appare vicino e le frizioni, in cui rientra anche il nodo della segreteria, al momento non fanno escludere una sfida giocata al buio dello scrutinio segreto. La preoccupazione arriva soprattutto dagli ambienti vicini a Bonaccini, perdente alle primarie ma vincente nel voto dei circoli.

LA POSTA IN GIOCO – “In gioco c’è l’unità del Pd”, fanno notare da ambienti Pd. L’area del presidente Dem vorrebbe eleggere uno dei due capigruppo. Camera o Senato, non importa. È questo l’oggetto del contendere. A generare apprensione tra i parlamentari che hanno sostenuto Bonaccini è la linea della segretaria, che non sembra vacillare. I più vicini a Schlein, invece, fanno notare il tentativo di mettere in discussione un accordo già raggiunto. “Elly aveva proposto a Stefano la vicesegreteria, ma lui l’ha rifiutata. Avendo preso la presidenza, che di solito è sempre andata alla mozione vincente, non capiamo questo impuntarsi sui capigruppo”. La proposta è consolidata. Capigruppo alla maggioranza. Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera. “È fisiologico che col cambio al vertice cambi anche la guida dei gruppi”, ribadisce un deputato in Transatlantico. Tra i bonacciniani, ormai, i malumori vengono a galla. C’è chi si definisce “pacifista”, pronto ad “anteporre una gestione unitaria agli appetiti personali”. Ma c’è anche chi non digerisce una “linea morbida” nei confronti della segretaria e non molla l’idea di portare a casa una delle due cariche. “Non è mai capitato che il segretario abbia preteso i nomi di entrambi i capigruppo”, si protesta.

5 GIORNI PER DECIDERE – Bonaccini, dopo aver incontrato Serracchiani e Malpezzi, le capigruppo uscenti schierate con lui, ha continuato in giornata un giro di incontri. Sabato riunirà i suoi per trovare il bandolo della matassa. Il rischio della conta nel voto di martedì, però, non è escluso. Al Senato, i voti a favore di Boccia dovrebbero garantirgli l’elezione. Alla Camera, invece, c’è parità. Parità che potrebbe persino consentire alla capogruppo uscente di avere i numeri per la riconferma. Ma la sfida alle urne, in fondo, non la vuole nessuno. “Cinque giorni di trattativa, in politica, sono un’infinità”, evidenzia un parlamentare vicino a Bonaccini. Un filo di speranza, mentre dalla sponda opposta regna l’ottimismo. “Andremo a meta, il dialogo continua”. I due leader si sono sentiti ieri e il confronto tra gli sherpa delle due parti prosegue incessante. Lunedì Elly Schlein arriverà alla riunione dei parlamentari con un discorso. L’obiettivo, ribadito anche in campagna elettorale, sarà quello di compattare il partito. Contenere i mal di pancia, per chiudere in settimana le partite sugli uffici di presidenza e sulla segreteria. Intanto, la vicepresidente Capone ha fatto sapere che la segretaria, sui ruoli nel partito, “decide molto in autonomia”. Opinione, questa sì, che mette tutti d’accordo.

GLI APPLAUSI DEI SOCIALISTI – Attacchi su tutta la linea al governo di centrodestra, specie per quanto riguarda le politiche relative a migranti e green deal. E’ stato questo il succo della prima giornata di Elly Schlein da segretaria del Pd a Bruxelles, dove ha ricevuto elogi e applausi dai socialisti. La speranza della sua famiglia politica è semplice: che possa essere proprio lei a ridare slancio all’Sd in vista del voto del 2024. “Elly è stata fantastica”, dice Iratxe Garcia Perez, leader del gruppo dei Socialisti e democratici all’uscita dal pre-vertice di Bruxelles. “La nostra famiglia politica ha guadagnato una grande leader”, commenta il premier spagnolo Pedro Sanchez. I riflettori del vertice socialista – a cui partecipano anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la premier finlandese Sanna Marin – sono tutti puntati su di lei.

L’INTERVENTO A BRUXELLES – L’intervento di Schlein si sofferma su transizione ecologica e giustizia sociale. E, raccontano i presenti, le sue parole sono ben accolte dalla platea, colpita dall’ottimo inglese e dalla piena conoscenza dei dossier europei. La neo leader del Pd infatti, grazie all’esperienza all’Eurocamera, sebbene sia tra le più giovani in sala conosce Bruxelles e le sue dinamiche meglio di molti altri. Con Sanchez in particolare scocca la scintilla. Fonti interne raccontano che i due si soffermano diversi minuti a parlare principalmente delle sfide da affrontare in Europa su lavoro e precarietà. I temi comuni tra il suo Pd e i socialisti iberici sono molti: non solo il lavoro ma anche ambiente e minoranze.

IL PD E LA GUERRA – La missione a Bruxelles della neosegretaria è anche l’occasione per ribadire, davanti al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, l’intenzione del suo partito di “proseguire nel supporto convinto all’Ucraina contro l’invasione criminale della Russia”. Per il commissario Ue al Lavoro Nicolas Schmit, Schlein porta “contenuti, energia e visione”. Gli fa eco il vicepresidente della Commissione Ue Maros Sefcovic: “Tutti già pensano alle prossime elezioni europee e i valori che incarna Schlein saranno di grande aiuto”.

LE FRIZIONI COL TEDESCO SCHOLZ SULLE AUTO – A rompere l’armonia al tavolo socialista però è la posizione ambigua di Scholz sullo stop ai motori a scoppio dal 2035. Schlein su questo non ha dubbi: la posizione presa da Berlino è “sbagliata”, così come quella assunta dall’Italia. Gli obiettivi sono “ambiziosi” ma con risorse e competenze, è il ragionamento, “si può fare”. Ma è sul dossier migranti che Schlein attacca il governo Meloni su tutta la linea. “Cercano di rivendicare la centralità del tema migratorio con tre righe nella bozza del documento del Consiglio che non vogliono dire nulla, ma questa destra dov’era quando si è cercato di riformare l’accordo di Dublino? Io non li ho visti”, accusa la leader Pd. Che rilancia: “Non è la strada giusta, perché il governo italiano fa le domande sbagliate all’Ue. Serve una Mare Nostrum europea, serve una missione comune di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo, di questo c’è bisogno”. A tarda mattinata parte dei leader socialisti si avvia al Consiglio Ue per il summit dei 27. Ma il controvertice di Place Jourdan è ormai servito. Schlein ha superato la prima prova in Europa e mentre rientra in Italia Gentiloni la saluta con un complimento: “Abbiamo molto apprezzato”. Chissà se la pensano allo stesso modo Stefano Bonaccini e i suoi.

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