Mentre in Italia cresce di oltre il 61% la produzione energetica da carbone, nel 2022 solo l’1% dei progetti di impianti fotovoltaici ha ricevuto l’autorizzazione. Si tratta del dato più basso degli ultimi quattro anni: nel 2019 a ricevere l’autorizzazione sono state il 41% delle istanze, per poi scendere progressivamente al 19% nel 2020 e al 9% nel 2021. Ancor peggio va all’eolico on-shore: nel 2019 l’ok è arrivato per il 6% dei progetti, nel 2020 per il 4%, nel 2021 per l’1% e nel 2022 per lo 0%. Tutto ciò nonostante siano 1.364 le richieste per nuovi impianti in lista d’attesa e ancora in fase di valutazione e nonostante le semplificazioni avviate dal governo Draghi e l’istituzione delle due Commissioni Via-Vas (di recente potenziate) che hanno il compito di rilasciare un parere sui grandi impianti strategici per il futuro energetico del Paese. Sono i numeri non lusinghieri del nuovo report di Legambiente “Scacco matto alle rinnovabili 2023” presentato alla Fiera K.EY di Rimini insieme a un pacchetto di proposte e a un’analisi su quattro leggi nazionali e tredici leggi regionali che frenano la corsa delle fonti pulite. A bloccare tutto da anni sono, infatti, norme obsolete e frammentate, la lentezza degli iter autorizzativi, gli ostacoli e le lungaggini burocratiche di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, i due principali colli di bottiglia dei processi autorizzativi.
Cresce il numero di progetti, ma vanno a rilento anche le installazioni – Il 76% dei 1.364 progetti in fase di Via (valutazione di impatto ambientale), di verifica di assoggettabilità a via, di valutazione preliminare e di Provvedimento unico in materia ambientale a livello statale è distribuito tra Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Il dato cresce. Negli ultimi anni sono aumentati sia i progetti presentati, sia le richieste di connessione alla rete elettrica nazionale di impianti di energia a fonti rinnovabili. Queste ultime sono passate da 168 gigawatt al 31 dicembre 2021 a oltre 303 gigawatt al 31 gennaio 2023. Ma le installazioni sono lente, come emerge dagli ultimi dati Terna: appena 3.035 megawatt nel 2022, dato che porta all’incapacità produttiva del parco complessivo di sopperire alla riduzione di produzione.
Lontani dai target – Al 31 dicembre 2022, le fonti rinnovabili arrivano quasi a 64 gigawatt di potenza installata che, con una produzione di circa 98,4 TWh, hanno coperto circa il 32% del fabbisogno nazionale di energia elettrica, che ammontava a 316,8 TWh. Nel 2022 la capacità rinnovabile in esercizio è aumentata di 3 gigawatt, 1,6 in più rispetto al 2021. Un trend certamente non sufficiente per raggiungere gli obiettivi climatici e di sviluppo delle rinnovabili, dato l’obiettivo di nuovi 85 GW al 2030, che vuol dire installare una media di poco meno di 10 GW all’anno a partire dal 2023. “Con la media di nuova capacità realizzata negli ultimi due anni, l’obiettivo di realizzare 85 GW verrà raggiunto tra vent’anni” spiega Legambiente. “Al governo Meloni torniamo a ribadire che il Paese non deve diventare l’hub del gas, ma quello delle rinnovabili” commenta il presidente nazionale Stefano Ciafani, secondo cui in primis “occorre semplificare l’iter dei processi autorizzativi per garantire certezza dei tempi e potenziare gli uffici delle Regioni che rilasciano le autorizzazioni affinché gestiscano meglio i progetti che si stanno accumulando”. La semplificazione, dunque, è ben lungi dall’essere realizzata.
Calano le produzioni (fotovoltaico a parte). E aumenta anche quella da carbone – Tutto questo impatta anche sulle produzioni energetiche. Fotovoltaico a parte, infatti, nel 2022 le fonti rinnovabili hanno fatto registrare tutte segno negativo. Con un dato drammatico, ma che non sorprende vista la crisi idrica in corso, per l’idroelettrico: meno 37,7%. A cui si aggiunge il calo del 13% in tema di produzione da pompaggi che portano il contributo delle rinnovabili, rispetto ai consumi complessivi, al 32%. Ovvero ai livelli del 2012. E se l’idroelettrico produce 16,9 TWh in meno rispetto al 2021, mentre biomasse, geotermia ed eolico perdono rispettivamente il 2,1%, l’1,6% e l’1,8%, la produzione energetica da carbone aumenta del 61,4%.
Le cause della paralisi – Come si spiega nel report, “nessuna delle semplificazioni entra in modo strutturale sulle normative esistenti”. Per questo occorre capire quali saranno gli effetti dei vari provvedimenti sulle Regioni, responsabili della stragrande maggioranza dei processi autorizzativi. Sebbene le procedure di Via siano divise tra Stato, Regioni e Comuni sulla base della potenza degli impianti, la quasi totalità dei progetti passa attraverso l’Autorizzazione unica (Au) in capo alle Regioni o attraverso il Provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur), che comprende anche la Via. Sui 13 scenari possibili, semplificati da Elemens nel Rapporto Regions 2030, 11 (ossia tutti quelli la cui procedura vede l’applicazione dell’Au o del Paur) sono in capo alle Regioni con un evidente blocco alle installazioni. Il report evidenzia due problemi. In primis, la lentezza con cui i progetti attraversano la fase di Via: dal 2019 circa la metà di quelli presentati sono ancora in attesa del parere, sia sul fronte fotovoltaico che eolico on-shore. Progetti che dopo questa fase dovranno affrontare anche l’iter di autorizzazione. La percentuale di progetti in attesa di Via sale con gli anni, arrivando al 98% di quelli presentati nel 2022. In secondo luogo, per l’eolico on-shore, emerge la discrepanza fra i progetti con Via positiva e quelli effettivamente autorizzati. Questo dimostra che l’iter autorizzativo è a tutti gli effetti uno scoglio difficilmente superabile, specialmente per questa specifica fonte energetica costantemente osteggiata a livello locale.
Storie di blocchi alle rinnovabili – Oltre alla lentezza degli iter autorizzativi e all’eccessiva burocrazia di Regioni e Soprintendenze ai beni culturali, a pesare sono anche i no delle amministrazioni comunali e le opposizioni locali di tipo Nimby (Not in my backyard, “non nel mio cortile”) e Nimto (Not in my terms of office, “non durante il mio mandato”). Legambiente aggiorna la mappa dei luoghi simbolo con storie, che arrivano dal Nord al Sud della Penisola, di progetti bloccati e norme regionali e locali che ostacolano le rinnovabili. Ventiquattro i nuovi casi sintetizzati nella mappa, che si aggiungono ai venti dello scorso anno. Tra i casi più emblematici quelli di Puglia, Toscana e Sardegna. Il nodo dell’impatto paesaggistico blocca in Puglia il progetto di Odra Energia, che prevede un impianto offshore con 90 turbine galleggianti da 1,3 GW di energia pulita, a circa 13 chilometri dalla costa adriatica tra Porto Badisco e Santa Maria di Leuca.
C’è poi il caso del Sin (Sito di interesse nazionale) di Brindisi dove è stato proposto un parco fotovoltaico da 300 megawatt che potrebbe rappresentare un esempio di utile recupero di aree inquinate e non bonificabili. Ma ci sono anche 15 progetti di eolico on-shore (per un totale di oltre 630 MW di potenza) bloccati durante l’iter regionale, su cui è dovuto intervenire il Consiglio dei ministri al fine di sbloccarli. In Sardegna il blocco non riguarda solo i progetti di nuovi impianti, ma anche quelli di repowering di impianti già esistenti.
In Toscana solo di recente si sta avviando a realizzazione l’impianto eolico del gruppo Agsm Aim, nei Comuni di Vicchio e Dicomano. Qui le opposizioni e gli ostacoli sono arrivate anche in fase di valutazione, con commissioni di Via che hanno presentato 64 richieste di integrazione, l’inchiesta pubblica e ulteriori 360 richieste di integrazione. “Se è vero che non esiste l’impianto perfetto”, commenta Katiuscia Eroe, responsabile nazionale energia di Legambiente, “è altrettanto vero che questi impianti possono essere integrati al meglio ed essere valore aggiunto per i cittadini e le cittadine che vivono quei territori. Per questo è fondamentale non depotenziare uno strumento prezioso come quello del dibattito pubblico, come rischia di fare il governo Meloni con la nuova proposta del Codice degli Appalti”.