Doveva essere il Consiglio Ue nel quale Giorgia Meloni, come promesso, doveva strappare un “cambio di passo sui migranti”. Ma quello del 23 e 24 marzo assomiglia più a un enorme boomerang per l’Italia, tornata a casa senza alcuna novità sul tema degli sbarchi, diverse critiche da parte dei leader europei e con i ‘compiti a casa’ su Pnrr, Mes e transizione verde. Oltre ad aver generato fastidio negli altri capi di Stato e di governo per aver imposto il tema migranti all’ordine del giorno di una discussione che, invece, doveva essere concentrata sulla guerra in Ucraina. Una situazione che spiegherebbe anche la decisione della leader di Fratelli d’Italia di non tenere alcuna conferenza stampa al termine del vertice, come invece aveva deciso di fare dopo il precedente appuntamento europeo.
Europa preoccupata per i ritardi col Pnrr
Il vero banco di prova del governo è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e su questo i vertici europei hanno manifestato non poche preoccupazioni, secondo quanto appreso da Ilfattoquotidiano.it da fonti Ue. Il motivo è presto detto ed è contenuto nei dati pubblicati venerdì da Il Sole 24 Ore relativi alla relazione semestrale al Parlamento della Corte dei conti: ritardi accumulati che rischiano di far perdere all’Italia miliardi di euro. Un problema che dovrà essere risolto dal ministro per il Pnrr, Raffaele Fitto, ormai costretto a una rincorsa che non ammette più errori. I numeri parlano chiaro: nel 2022 e fino a marzo 2023, la spesa effettiva di Roma si è attestata intorno ai 23 miliardi di euro. Appena il 12% degli oltre 200 miliardi messi a disposizione da Bruxelles fino al 2026, circa la metà di quanto prospettato inizialmente. Sarà complicato per l’Italia, e Bruxelles lo ha fatto notare alla premier, rispettare la tabella di marcia imposta dalle istituzioni europee. Tanto che a Roma si spera in una proroga, nonostante Meloni, su questo, abbia dichiarato: “Non vedo rischi”.
È indicativo il fatto che sia stata la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, ad affrontare il tema con la leader del governo italiano. Segno che Bruxelles ha avanzato richieste di chiarimento. Anche perché il dato, già di per sé basso, è influenzato in positivo dal fatto che molti di questi investimenti fossero già previsti dai piani italiani e traslocati per competenza all’interno del Pnrr. A spingere i dati sono stati soprattutto i crediti d’imposta di Transizione 4.0, che hanno assorbito 2,3 miliardi più del previsto, e quelli relativi ai bonus edilizi, stimati in 3,5 miliardi aggiuntivi nella quota finanziata dal Piano europeo. Questi, però, sono appunto meccanismi che si attivano su richiesta degli investitori privati e non indicano quindi una capacità di realizzare la spesa pubblica da parte di Roma. Se dal numero complessivo degli investimenti si tolgono quelli non direttamente stimolati dal governo, i dati si fanno ancora più impietosi: i miliardi spesi sono 10 su 168, il 6% del totale. Fatto sta che, per rimediare, il programma necessiterebbe di un’aumento della spesa che dovrebbe passare dai 20,44 miliardi dei primi tre anni ai 40,908 di quest’anno, fino ai 46-48 miliardi annui del 2024-25.
Il blocco sul Mes che fa arrabbiare Bruxelles
A far scontrare Giorgia Meloni e i vertici europei c’è poi la questione Mes. E anche su questo tema i malumori non sono certo stati nascosti. La presidente del Consiglio è uscita riaffermando la propria posizione: “Ci sono anche altri strumenti che sono anche più efficaci nell’attuale contesto – ha detto – Io credo che la materia non vada discussa a monte, ma vada discussa a valle e nel contesto nel quale opera. Stamattina abbiamo discusso dell’unione bancaria e sul tema di un backstop il Mes è una sorta di Cassazione, il primo e il secondo grado sono l’unione bancaria, che sono le materie che sono state discusse questa mattina, quindi è un ragionamento del quale non si può discutere se non in un quadro complessivo”. Le sue dichiarazioni arrivano dopo quelle del presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, che a margine del Consiglio Ue aveva lanciato un chiaro messaggio a Roma: “È importante che continuiamo ad attuare accordi in essere da tempo ed è per questo che è così importante procedere con la piena ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità“. Un chiaro messaggio all’Italia, ultimo Paese rimasto ad opporsi. La ratifica, ha poi concluso, “è importante” ma “il modo in cui ciò accadrà spetta al Parlamento italiano e, naturalmente, al governo italiano. Mi limiterò a sottolineare ancora una volta il valore della ratifica del trattato nel suo complesso, da parte di tutti i membri, perché giocherà un ruolo prezioso nel modo in cui potremo rafforzare la nostra collaborazione per tutti”.
Sulle riforme green la spunta Berlino
Al termine del Consiglio Ue, Ursula von der Leyen ha cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica sui progressi riguardanti il Green Deal europeo. È su questo tema specifico che, già dal suo discorso di insediamento, la capa di Palazzo Berlaymont ha basato il suo mandato. Una rivoluzione verde sulla quale non ha alcuna intenzione di fare concessioni. E il tema che tiene banco in questa fase è quello delle auto termiche. A premere sul freno, però, ci sono ancora una volta l’Italia e la Germania. Ma se con Berlino qualcosa sembra muoversi in direzione di un’intesa, con Roma la situazione appare ancora in una fase di stallo. E questo non è piaciuto, come comunicato a Meloni secondo quanto appreso da Ilfattoquotidiano.it, né ai Paesi del Nord né al vicepresidente della Commissione, l’olandese Frans Timmermans, che ha la delega al Clima e al Green Deal europeo.
“Lo stop ai motori termici non è stato oggetto di discussione al Consiglio europeo – ha precisato von der Leyen a margine del vertice – Ci sono dei contatti tra la Commissione, rappresentata dal vice presidente della Commissione europea, Frans Timmermans, e la sua controparte in Germania, il ministro dei Trasporti Volker Wissing. I negoziati stanno facendo progressi, c’è una comune volontà di risolvere questo tema e di risolverlo nel perimetro dell’accordo provvisorio raggiunto tra il Consiglio e il Parlamento”. La presidente della Commissione si è comunque detta fiduciosa che “troveremo presto una buona soluzione”. Un’intesa che sembra puntare più verso Berlino, lasciando fuori le richieste del governo italiano: il cancelliere Olaf Scholz, nell’ottica di uno stop ai motori termici entro il 2035, sembra avere infatti ottenuto la possibilità di ricevere chiarimenti sull’utilizzo degli e-fuel (o carburanti sintetici), allontanando invece la possibilità di un nullaosta anche per i biocarburanti, come invece richiesto da Meloni. Scenario che posiziona l’Italia in una coalizione formata dai Paesi dell’Est, come Polonia, Repubblica Ceca e Bulgaria, contrari, proprio come Roma, anche ai nuovi standard Euro7.
Il nulla di fatto sui migranti
Il tema sul quale Meloni aveva spinto di più rimane comunque quello dei migranti. Aveva annunciato un “cambio di passo”, dichiarato di aspettarsi “passi in avanti” nella collaborazione europea e, al termine del vertice, che “l’Italia può dirsi molto soddisfatta” delle conclusioni. Secondo quanto appreso da Ilfattoquotidiano.it, però, le cose sono andate diversamente. Molte cancellerie europee si sono risentite per le forti pressioni esercitate da Roma al fine di inserire il tema migranti nell’agenda dell’ultimo Consiglio, incentrato invece sulla questione ucraina. Una pressione che, comunque, non ha portato i suoi frutti. Nel documento finale, al tema è stato dedicato solo un piccolo trafiletto con il quale si ricorda come l’ultimo vertice sia stato utile a informare “il Consiglio europeo in merito ai progressi compiuti nell’attuazione delle sue conclusioni del 9 febbraio 2023. Ricordando che la migrazione è una sfida europea che richiede una risposta europea, il Consiglio europeo chiede la rapida attuazione di tutti i punti concordati”. Aggiungendo che il gruppo “riesaminerà tale attuazione nel mese di giugno”.
Un finale già atteso alla vigilia, quando Meloni aveva chiesto a von der Leyen “azioni urgenti a livello europeo”, ricevendo però come risposta solo la decisione del presidente del Consiglio Ue, Charles Michel, di relegare il tema in fondo all’agenda del summit e limitandone la discussione a uno “short debrief“, ossia un “breve aggiornamento”. Tanto che per la presidente del Consiglio si è reso necessario portare il tema sul tavolo del bilaterale tenutosi giovedì, a notte inoltrata, con il presidente francese, Emmanuel Macron, al termine del quale l’Eliseo ha comunicato la disponibilità dei due Paesi a una “cooperazione” in materia di migrazioni, industria e spazio.