Mi piacerebbe davvero conoscere i veri motivi per i quali Gwyneth Paltrow ha dichiarato al mondo di aver adottato una dieta assai particolare. Una dieta che potremmo definire drammaticamente essenziale: una colazione molto leggera a base di caffè e, ma solo qualche volta, integrata con succo di sedano o acqua e limone che precede un pranzo costituito da una bella tazza di brodo di ossa di pollo mentre la cena, bontà sua, è composta soprattutto da verdure. Altro passaggio fondamentale di questo regime dietetico è l’intervallo di almeno 16-18 ore previsto tra la cena e la colazione del giorno dopo.
Se quanto dichiarato dall’attrice (e imprenditrice: la sua azienda Goop vende cosmetici, vestiti e prodotti per la casa) è vero e non si tratta di una sbrigativa sintesi giornalistica, mi aspetto che fra qualche mese inizi a circolare la notizia che la Paltrow non stia tanto bene. Non tanto per quello che l’attrice mangia (chi non decanterebbe le virtù salutistiche del succo di sedano e di limone oppure delle verdure!), ma soprattutto per quello che non mangia. In particolare, dove sono i cereali e i legumi, granaglie che in tutto il mondo, con limitate eccezioni, sono alla base delle salutari diete tradizionali e che costituiscono l’ossatura di quella che viene unanimemente considerata dai professionisti della nutrizione come la migliore dieta al mondo, quella mediterranea?
Sono innumerevoli le risultanze scientifiche che testimoniano il valore altissimo del consumo quotidiano di cereali integrali, legumi, frutta, verdure e semi oleosi soprattutto per la prevenzione delle patologie cronico-degenerative (obesità, diabete, malattie cardiovascolari, tumori). Lo dichiara autorevolmente anche il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (WCRF) che chiude il suo rapporto sulla prevenzione dei tumori con dieci raccomandazioni. Oltre al movimento quotidiano, alla limitazione dell’alcol, dello zucchero e della carne rossa, soprattutto conservata, è scritto a chiare lettere l’invito ad aumentare il consumo quotidiano di cereali, frutta, verdura e legumi.
Per quanto riguarda poi il cosiddetto digiuno notturno, cioè l’intervallo che passa tra la cena e la colazione del giorno successivo, la Paltrow sfonda una porta aperta e non ha scoperto niente di nuovo. Sempre più dati suggeriscono che l’orario dei pasti (soprattutto quello della cena) sia in grado di modulare in qualche modo l’effetto degli alimenti sul nostro organismo e, in definitiva, abbia a che fare con il nostro benessere. Non tanto e non solo per le ovvie difficoltà digestive provocate, ad esempio, da una pizza trangugiata la sera tardi, ma per gli effetti sulla regolazione del metabolismo prodotti dal tempo che passa dalla cena alla colazione. Una ricerca (Nutrition, Metabolism and Cardiovascular Diseases, Aprile 2019) ha indagato le conseguenze metaboliche prodotte da diverse modalità di distribuzione delle calorie nell’arco della giornata. In particolare, è stata rilevata un’associazione diretta tra l’abitudine di assumere più calorie oltre le 20,30 e livelli più elevati di colesterolo totale e colesterolo LDL, quello pericoloso.
Sull’importanza per la salute e la longevità della lunghezza del digiuno notturno ha studiato anche l’università di Teramo (Frontiers in Nutrition, 22 March 2022). Molte aree interne dell’Abruzzo sono caratterizzate da un numero insolitamente elevato di persone longeve, novantenni o centenari in buona salute. Tra i vari fattori indagati per comprendere questo fenomeno è stata presa in considerazione anche una abitudine dietetica che caratterizza fin dalla giovinezza la totalità di questi soggetti molto longevi: lo sdijuno (rompi digiuno), un pranzo abbondante preso intorno alle ore 12 e preceduto alle 6,30 solo da una modesta colazione. In pratica questi anziani in buona salute praticavano una sorta di (quasi) digiuno che iniziava dopo la cena della sera consumata intorno alle 19 e che durava fino alle 12 del giorno dopo: un intervallo sostanzialmente libero da cibo di circa 16-17 ore. Una abitudine che, secondo i ricercatori, ha svolto un importante ruolo nel ridurre il rischio di sviluppare malattie come l’obesità, il diabete e le patologie cardiovascolari e, in definitiva, nel garantire una vita lunga e in salute.
Altri studi confermano che la lunghezza del digiuno notturno produce una riduzione della glicemia e degli indici di infiammazione e, nel tempo, un contenimento del rischio per molte malattie metaboliche (obesità, diabete, patologie cardiovascolari, ecc.). Ad esempio, una ricerca (American Journal of Clinical Nutrition, 2020 Oct) comprova che mangiare presto, soprattutto la sera, è una consuetudine salutare mentre l’abitudine di ritardare la cena aumenta il rischio cardiaco e metabolico e rende più difficile evitare l’aumento di peso.
Nello studio citato era stata proposta una dieta dimagrante di tipo mediterraneo a oltre 3.300 soggetti sovrappeso o obesi. I partecipanti erano stati divisi in due gruppi: da un lato chi tendeva a anticipare l’orario dei pasti, dall’altro chi preferiva ritardare il momento di mettersi a tavola. Ebbene, dopo circa cinque mesi di dieta, in chi cenava più tardi il calo di peso era inferiore di circa il 17% (mediamente un chilo e mezzo) rispetto a chi mangiava presto. E senza adottare diete sbilanciate e inutilmente restrittive.
Infine una considerazione sulle “almond mom”, le “mamme mandorla”, fanatiche della forma perfetta (come probabilmente la Paltrow), anche a costo di pasteggiare con solo qualche mandorla. Le quali, con scelte dietetiche estreme (“In medio stat virtus”, ammonivano i latini) rischiano paradossalmente di gettare una cattiva luce su un alimento dotato di proprietà nutrizionali di tutto rispetto e il cui consumo regolare, all’interno di una dieta equilibrata, produce effetti positivi sul mantenimento della salute cardiovascolare e metabolica (Nutrients 2020).