Politica

“Noi ostaggi economici di Poste”. Da mesi in attesa di incassare crediti da Superbonus venduti al gruppo del Tesoro: “Nessuno ci dice niente”

C’è chi, come Alberto, è rimasto bloccato dalla modifica del codice da indicare per la cessione del credito a partire dal primo di novembre 2022, ma istituita il 7 dicembre. Ha cercato di vendere i propri crediti fiscali da Superbonus alle Poste nella prima settimana di novembre, l’ultima possibile prima della sospensione sine die e ha usato il codice dell’operazione che ha trovato, quello vecchio. Il sistema di Poste lo ha automaticamente bloccato perché il codice dell’Agenzia delle Entrate non corrispondeva con il codice del contratto. Essendo un procedimento automatizzato a nulla è valso chiedere aiuto. La pratica è stata rifiutata e il malcapitato incappato in quello che pare un errore meramente formale, è rimasto suo malgrado col cerino in mano, con 80mila euro in meno in tasca e in attesa da gennaio della risposta a un suo ticket di aiuto aperto con Poste.

Quella che Alberto ha raccontato a ilfattoquotidiano.it è la più kafkiana, ma è solo una delle tante vicende che vedono come protagonisti i crediti fiscali da Superbonus, le Poste e lo stop alle compravendite avvenuto prima, a novembre, per dichiarata scelta del gruppo controllato dal ministero dell’Economia e poi, a febbraio, per imposizione del governo. Il punto è che Alberto da allora ha cercato e sta cercando senza successo di risolvere il problema con le Poste e nel frattempo siamo arrivati alla vigilia della scadenza del 31 marzo, termine ultimo per poter cedere i crediti del 2022. Vero è che in queste ore si parla di proroghe. Ma intanto i soldi sono si vedono e l’ansia morde lo stomaco e la gola.

Più classico il caso di Alessia, che è impantanata nei lavori di una casa unifamiliare nonostante abbia rispettato tutte le scadenze, a partire da quella del completamento del 30% dei lavori entro il 30 settembre. “Ho chiuso il secondo Sal a ottobre, Poste ha accettato la mia proposta, ma il credito giace ancora sul mio cassetto fiscale e il ‘signor Poste’ non muove un dito, non scrive una mail, non proferisce verbo… mortificante pure non avere un interlocutore“, racconta a ilfattoquotidiano.it. Tanto più che il signor Poste, come lo chiama lei, tecnicamente risponde allo Stato tramite il ministro Giorgetti, il cui dicastero è proprietario del 64% circa della società tra quota diretta del ministero dell’Economia (29,26%) e partecipazione della Cassa Depositi e Prestiti (35%).

“Devo chiudere il terzo Sal nei termini di legge, ho difficoltà di cassa a questo punto, le ditte mi chiedono di essere pagate – continua il racconto di Alessia che pure ha già sostenuto, ancora lo scorso anno, il colloquio per l’antiriciclaggio che dovrebbe essere l’anticamera per la chiusura della pratica e il pagamento del credito da parte di Poste – Se non pago perdo ogni cosa, pure quanto fatto finora e lo Stato mi salterà addosso, se pago e chiudo tutto esaurisco tutta la mia disponibilità, devo chiedere soldi in prestito e peggiorare le cose. Logicamente non ho in alcun modo la capienza fiscale per giovarmi di un credito così ingente e se non riuscissi a venderlo sarei semplicemente rovinata“.

Alessia per altro è in buona compagnia. Ma non proprio è il caso di parlare di mal comune e mezzo gaudio. Roberto, per esempio, ha anche lui fatto colloquio per l’antiriciclaggio nel 2022, ma ancora non sa niente. “Per quanto riguarda Poste, la pratica è a tutt’oggi in lavorazione. Dai gruppi social dedicati, si sa che stanno arrivando delle e-mail che dicono che potrebbero chiedere ulteriori documenti alla luce del decreto legge di febbraio. A me non è arrivato nulla – spiega -. Purtroppo Poste è un elefante e capire cosa succede è difficile! Sulla gestione cessione del credito nessuno ha esperienza e si è costretti a parlare con un call center che una volta risponde bianco e una volta risponde nero. E in più non ci sono nemmeno uffici provinciali dedicati per affrontare eventuali problemi. Il nulla!”.

A Giovanni è andata un po’ meglio. Delle due cessioni aperte a ridosso della chiusura di Poste agli acquisti, una è stata perfezionata e liquidata. Dopo quattro mesi. L’altra è stata approvata ma “non ne sappiamo nulla”, è il racconto. “Nel frattempo abbiamo tutti i fornitori che sollecitano i pagamenti e minacciano di sospendere i lavori. L’assistenza clienti di Poste, che si può contattare telefonicamente dopo mezz’ora di attesa ogni volta, non sa mai niente: ‘la sua pratica è in lavorazione‘, ‘ora c’è un blocco‘, ‘non sappiamo nulla’. Una totale presa in giro”, è il commento. E ancora: “Abbiamo già avuto un prestito dalla banca e uno da mia suocera, importi entrambi già spesi. Senza la seconda tranche della nostra cessione di credito è impossibile portare avanti i lavori, ma lo Stato pretende che entro il 31 marzo 2023 noi paghiamo le fatture e terminiamo i lavori di superbonus!! Altrimenti non potremo fare la seconda cessione di credito. Come posso terminare i lavori se non mi dai quello che mi spetta per il credito che ti ho già ceduto??!!”.

Anche qui, le proroghe dovrebbero essere in arrivo, ma quando arrivano a ridosso della scadenza per i comuni mortali non è semplice nè organizzarsi nè mantenere la calma. Anche perché ormai la fiducia è ai minimi termini. “Non solo, ad oggi non sappiamo se potremo cedere il credito maturato per le spese del 2023, perché il portale di Poste è attualmente chiuso. E Poste era praticamente l’unico soggetto rimasto che accettava questi crediti fiscali. Una situazione allucinante, che ti distrugge a livello fisico e psicologico. Non abbiamo mai avuto debiti con nessuno e oggi dobbiamo rispondere ai solleciti dei fornitori perché ci siamo fidati dello Stato Italiano. – prosegue lo sfogo di Giovanni – NESSUNO che controlli Poste Italiane, e i loro tempi di erogazione dei corrispettivi per la cessione di credito; NESSUNO che controlli Poste Italiane quanto si mangia per la cessione del credito… Qualcuno non ha ancora capito che si sta giocando con la vita delle persone”.

Giuseppe, altra variante sul genere crediti ceduti ma caduti nell’oblio, non la pensa molto diversamente: “Lo Stato dovrebbe obbligare Poste o chi per esse a dare spiegazioni su questi crediti tenuti in ostaggio… perché di questo si tratta di ostaggi economici“, scrive a ilfattoquotidiano.it. Invece Angela, che a novembre si era sentita una miracolata e ora è disperata per un’attesa che dura da quattro mesi, si chiede solo se “Poste riprenderà a lavorare le pratiche inserite entro il fatidico 7 novembre? Manterrà quanto promesso? Intanto i giorni passano, non ho la forza nemmeno di dedicarmi al mio bimbo di 4 anni. Come può lo Stato, trattare i suoi cittadini in questo modo? Come può lo Stato lasciare che le famiglie, con un futuro davanti, con figli da crescere…”. E poi spiega: “Il numero delle pratiche rimaste nel limbo è notevole. La situazione è molto delicata, siamo committenti con una capienza fiscale limitata, rischiamo di perdere migliaia di euro di crediti, ripeto migliaia di euro buttati a vuoto, dopo un anno di promesse e rassicurazioni da parte del governo”.

Dal canto suo Poste getta acqua sul fuoco. Interpellata in merito da ilfattoquotidiano.it replica che “in ragione della continua evoluzione della normativa relativa ai crediti d’imposta, ha dovuto adattare il proprio processo di controlli. Questo ha comportato un allungamento del tempo medio di lavorazione delle pratiche”. Inoltre, continua l’azienda citando il decreto cosiddetto blocca cessioni, che pure è di metà febbraio, “a seguito dell’entrata in vigore il 17 febbraio 2023 del DL n. 11, ‘Recante misure urgenti in materia di cessione dei crediti d’imposta relativi ai bonus fiscali’, potrebbe essere necessario acquisire ulteriore documentazione rispetto a quella già inviata con conseguente ulteriore allungamento per la lavorazione delle pratiche”. A questo punto arriveranno prima la scadenza e la proroga.