Mercoledì si è conclusa la visita di tre giorni del presidente cinese in Russia, a seguito della quale Xi Jinping e Vladimir Putin hanno firmato una dozzina di protocolli di intenti non vincolanti e approvato un piano cinese di pace in Ucraina, che, tuttavia, non offre nulla di specifico. Sembra che l’incontro di Xi con Putin abbia avuto pochi risultati reali (almeno pubblici), mentre ha causato un’ampia risonanza nella società russa e ha avuto un grande significato simbolico.
I media statali hanno seguito da vicino ogni mossa del presidente cinese sul suolo russo cercando di superarsi a vicenda nell’assicurare quanto questa “visita dell’anno che è la più pericolosa per l’Occidente” sia importante. Giornalisti ed esperti filogovernativi raccontavano all’unanimità che l’amicizia tra i due Paesi è “più forte che mai” definendo la coalizione tra Cina e Russia un’ “unione di sangue”. Ogni volta veniva sottolineato che gli Stati Uniti sono insoddisfatti della visita mentre “gli europei erano sopraffatti da stupore e isteria”. Allo stesso tempo, la tesi propagandistica sul “fratello maggiore”, che è venuto “a schierarsi apertamente dalla parte della Russia“, ha dei fondamenti reali.
Anche se la visita di Xi è stata discussa ancora prima dell’inizio della guerra, è successo che il leader cinese è venuto a Mosca pochi giorni dopo che la Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto per Vladimir Putin, dimostrando così che la Cina non volterà le spalle alla Russia nonostante il desiderio dell’Occidente di isolarla. Per la Russia, questo simbolismo è stato l’esito principale dell’incontro. Oltre a confermare che Pechino non ha abbandonato Mosca, Putin è riuscito a inviare un messaggio importante sia al pubblico esterno che a quello interno, ossia ad approcciarsi all””aura di legittimità” del leader cinese, nelle parole del sinologo Aleksey Chigadaev. Ora che il presidente russo è rimasto in compagnia di altri capi di Stato piuttosto controversi, come l’autoproclamato presidente bielorusso Alexander Lukashenko, la sua reputazione è avvantaggiata dal contatto pubblico con il riconosciuto leader mondiale.
Tuttavia, l’essenza del rapporto tra i due presidenti non è sfuggita, a quanto pare, a nessuno: oggi la Russia ha bisogno della Cina molto più di quanto la Cina abbia bisogno della Russia. Questo vale per qualsiasi settore, dalla vendita di risorse naturali allo scambio tecnologico e al supporto militare. La guerra con l’Ucraina contribuisce già alla “colonizzazione morbida” del Paese da parte del suo vicino, e la dichiarazione di Putin come criminale di guerra ha solo rafforzato la posizione dipendente della Russia. La Cina potrebbe approfittare dell’indebolimento di Mosca per rafforzare ulteriormente questa dipendenza, pur non fornendo un’aiuto significativo e senza fare promesse specifiche.
Secondo il politologo russo Vladimir Pastukhov, senior fellow della University College di Londra, la decisione politica che d’ora in poi la Russia “sopravviverà come partner minore della Cina (oltre che dell’India e della Turchia)” è stata presa proprio al Cremlino. Ma mentre i propagandisti e i “patrioti” filogovernativi cercano di dimostrare che l’incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin “è ugualmente necessario per entrambi”, dall’estrema sinistra come dall’estrema destra, si avverte l’insoddisfazione per il fatto che la Russia stia diventando un vassallo della Cina.
Dall’opposizione liberale, ironizzano che “l’imperatore è venuto con un’ispezione della sua provincia nordica” e che i propagandisti “non leccano abbastanza le scarpe dei nuovi padroni cinesi”. Il canale televisivo Dozhd nel suo servizio chiama Putin “il suddito del compagno Xi”, mentre i giornalisti di Meduza notano una “vibrante sensazione di paternalismo” che permea tutte le comunicazioni tra il presidente cinese e le autorità russe. Gli esperti ricordano l’incontro, anche quello cerimoniale, avvenuto 73 anni fa tra Joseph Stalin e Mao Zedong a Mosca. Quella volta era Stalin a parlare con Mao (per il quale l’incontro è stato piuttosto umiliante) dalla posizione del “fratello maggiore”. Oggi Xi sembrava essere venuto per “restituire lo schiaffo” da “fratello maggiore”, e Putin non ha avuto altra scelta che fissare pubblicamente lo status della Russia come “partner minore” della Cina.
Ma il parallelo storico più pittoresco e frequentemente utilizzato sono stati i famosi jarlyk (editti) che i principi nell’Antica Russia ricevettero dai conquistatori mongoli per governare su un territorio. Nei secoli XIII-XV, durante il giogo mongolo-tartaro, chiunque volesse regnare in una parte o nell’altra della Russia doveva recarsi dal Khan dell’Orda d’Oro e ottenere da lui il permesso scritto. Quindi, il politologo Ivan Preobrazhensky in un’articolo per Deutsche Welle afferma direttamente che “Xi Jinping ha dato a Putin un jarlyk per regnare” — e inaspettatamente ci sono quelli che sono d’accordo con lui dal lato opposto dello spettro politico. Il pubblicista filogovernativo Dmitry Olshansky scrive: meno male, “ora è più vantaggioso per noi avere un khan nell’Orda che il Papa e i cavalieri appesi al collo”, riferendosi all’ideologia imposta dall’Occidente. Seguendo questa logica inaspettata, alcuni turbo-patrioti giungono persino alla tesi che “la Russia nel XXI secolo dovrebbe essere vassalla della Cina“, basta non dell’America. Poiché, accettano, la Russia “stanca” e “circondata da nemici” non può più “essere uno stato completamente indipendente, un grande impero”, è necessario affidarsi a qualcuno e fare amicizia contro gli altri.
Anche Pastukhov concorda con la tesi originale: “La Russia come stato sovrano può esistere solo manovrando tra Occidente e Oriente. Avendo iniziato questa guerra, Putin ha sconvolto l’equilibrio geopolitico e quindi ha lasciato la Russia praticamente indifesa contro la morbida espansione della Cina calcolata per decenni”. Tuttavia, per i sostenitori delle autorità, tale posizione sembra incoerente, perché sono passati a spiegare come sarebbe conveniente per la Russia diventare un satellite della Cina, direttamente dalle promesse del grande “mondo russo”. Il motivo è che la Cina, seguendo la sua politica di non interferenza negli affari interni dei suoi partner commerciali, non sarà interessata a influenzare l’ideologia russa e il suo sistema di potere stabilito; non criticherà la corruzione e le violazioni dei diritti umani né cercherà di introdurre valori occidentali “perniciosi” come il femminismo e la LGBT.
La dipendenza dalla Cina non crea quindi grossi problemi. “La Cina, a differenza dell’America, rivendica le nostre risorse, ma non la nostra identità”, scrive Olshansky. Gli fa eco il nazionalista ortodosso ed editorialista di RT Yegor Kholmogorov: “Se gli alieni ci invadessero e fossero pronti a spazzare via gli Usa e la Nato, allora spedirei volentieri loro un milione di carri di petrolio, o qualunque cosa gli servisse, gratuitamente”. Esaminando tali argomenti, il politologo dell’opposizione Abbas Gallyamov osserva che “un vero patriota russo troverà sempre sotto chi mettersi”.
Nel frattempo, questa settimana è stato reso noto che la Banca centrale russa vuole insegnare ai suoi dipendenti la lingua cinese e, inoltre, che la Russia inizierà a regolare i conti con Asia, Africa e America Latina in yuan. La crescita dello yuan nel commercio estero potrebbe già nel 2023 portare la quota di questa valuta nel Fondo nazionale di ricchezza della Federazione Russa fino al 60%. In relazione a tutto ciò, per molti sorge una domanda legittima: ovvero se la Cina possa diventare per la Russia un Grande Fratello, come la Russia lo è diventata per la Bielorussia. La politologa Ekaterina Shulman crede che sia improbabile: se il regime russo inizia a cadere, difficilmente la Cina sarà interessata ad aiutarlo nel modo in cui Putin si sforzò per mantenere il presidente bielorusso al potere nel 2020. Lukashenko è stato aiutato perché c’era la sensazione che qualsiasi regime venisse a sostituirlo non avrebbe più avuto bisogno della Russia.
“Per la Cina, non credo che questa logica possa funzionare. Perché dovrebbero farlo, se non saranno peggio d’accordo con il prossimo regime, che sarà stabilito in questo territorio?” dice Shulman. “Vero, se l’attuale regime resiste per altri 10-15 anni e durante questo periodo diventa completamente un vassallo cinese, come la Corea del Nord, allora sì, qualsiasi rovesciamento di questo regime sarà considerato un danneggiamento della proprietà cinese“. Come teme Igor Strelkov, l’ex ministro della Difesa della Repubblica Popolare di Donetsk e critico di lunga data del regime, con un tale sviluppo di eventi, le autorità russe “se ne fregheranno definitivamente di qualsiasi processo mentale e eseguiranno semplicemente e stupidamente gli ordini del «Comitato Regionale di Pechino»”.
Non è la prima volta che si incontrano parallelismi con il passato comunista, e, a dire il vero, si suggeriscono da soli. Così, seguendo il protocollo, prima della visita a Mosca Xi Jinping e Putin si sono scambiati gli articoli sui rapporti bilaterali. L’articolo di Xi con la sua fotografia e il titolo «Proseguire con insistenza verso nuove prospettive di amicizia, cooperazione e sviluppo congiunto di Cina e Russia» è apparso in prima pagina sulla Rossiyskaya Gazeta, un giornale ufficiale del governo. L’articolo di Vladimir Putin, anch’esso scritto nella migliore tradizione della retorica sovietica («Russia e Cina: una partnership che guarda al futuro»), è stato pubblicato dal quotidiano del Partito Comunista Cinese Renmin Ribao in terza pagina senza foto. Ma un ritorno al passato sovietico ancora più eclatante è stata la trasmissione, in occasione della visita del leader cinese, degli aforismi di Xi Jinping sul canale televisivo federale Russia 24. Proprio come le citazioni del Grande timoniere Mao, largamente diffuse in Urss negli anni Cinquanta, ai russi sono state presentate le affermazioni pungenti di Xi come, per esempio, “Ideali e convinzioni incrollabili nascono da una solida dottrina ideologica”. A quanto è noto, nessuno dei canali cinesi ha messo in onda le citazioni filosofiche di Putin.