Riportare il calcio alla dimensione di sport aperto a tutti con l’obiettivo primario di promuovere il benessere psicofisico, favorire la socializzazione e contrastare la marginalizzazione. Tutto questo in risposta all’esempio negativo dato dagli ultimi Mondiali di calcio maschile. Nasce con queste premesse “Te lo di io il Qatar”, il progetto di Open Milano ASD che porta nel capoluogo lombardo tre appuntamenti pensati in particolare per (re)includere nel mondo dello sport le persone discriminate per il proprio genere – transgender, non-binary, genderfluid e tutte le persone che non si riconoscono nel sistema binario di assegnazione del genere alla nascita – e per il proprio orientamento sessuale.
“Il nome è nato in un post-partita davanti a una birra”, racconta a Ilfattoquotidiano.it Davide Bombini, segretario e direttore sociale di Open Milano ASD. “I mondiali di calcio maschile di quest’anno sono stati l’esempio lampante di tutto ciò che non va bene nel circuito calcistico moderno. Ospitati da un Paese che non assicura i diritti civili e sociali, con discriminazioni di genere che non garantiscono i diritti alle donne e neppure alle persone LGBTQIA+. In quel Paese l’omosessualità è reato. Senza dimenticare lo sfruttamento del lavoro migrante e i morti nei cantieri”. “Abbiamo capito che l’obiettivo finale del più importante evento calcistico non era più lo sport, come attività e come valore, ma sostanzialmente il profitto”, aggiunge Bombini. “Ecco perché abbiamo pensato a ‘Te lo do io il Qatar’, proprio per riportare gli obiettivi dello sport al centro. E lo facciamo tramite uno sport, come il calcio, che nel campo, negli spogliatoi e negli spalti tutto è fuorché inclusivo”.
Il primo step del progetto parte sabato 25 marzo con un torneo di calcio a 5 allo Sport Promotion di Comasina. A partire dalle 10 l’evento ospiterà un quadrangolare di calcio, con la partecipazione di tre squadre femminili e una squadra di transgender. Alle 12 della stessa giornata prenderà il via un torneo a 20 squadre di calcio a 5 nella formula “open” (senza limiti di genere ed età) con quattro gironi all’italiana e una fase finale ad eliminazione diretta. Parteciperanno squadre della città metropolitana di Milano e rappresentanze del circuito “Un calcio all’omofobia” provenienti da Torino, Bologna, Firenze, Roma e Padova. Ci saranno anche tante iniziative collaterali in collaborazione con numerose associazioni che hanno aderito all’evento. La seconda tappa del progetto sarà a maggio e prevede un campionato di calcio a 5 appositamente pensato per le persone discriminate per il proprio genere e orientamento sessuale: “Vogliamo creare uno spazio per dare il buon esempio, sperando di arrivare alla Lega italiana Calcio”, racconta Bombini. La terza tappa, invece, vedrà una esibizione di calcio a 11 in occasione del Milano Pride, il prossimo 25 giugno.
Open Milano ASD, nasce nella città meneghina tre anni fa ma fonda le sue radici nel 1996 quando è nata a Milano la prima squadra di uomini gay di calcio a 11. È attiva, attualmente, con tre squadre (una di calcio a 7 e due da 5) disputando campionati nel circuito privato. “Il nostro obiettivo è quello di rendere lo sport accessibile a tutte le persone che lo vogliono fare, abbattendo le barriere di discriminazione”, spiega Davide Bombini. “Noi partiamo dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere fino a tutte le altre discriminazioni, dal colore della pelle alla provenienza, dalla classe al reddito. L’obiettivo è di includere sempre di più le persone transgender e non-binary che sono, anche per i vari regolamenti, praticamente espulsi dal circuito sportivo”.
Tra tutte le realtà sportive il calcio, comunque, rimane sempre un campo molto ostico dal punto di vista dell’inclusione. “Il calcio, come tutti gli altri sport, è una realtà che può e deve mutare con la società”, sottolinea Bombini. Ed è evidente che tanto sta cambiando. Poco più di un mese fa è arrivato il coming out di Jakub Jankto, centrocampista ceco dello Sparta Praga che in Italia ha giocato con Sampdoria e Udinese. È il primo caso di un calciatore in attività di questo livello in Europa. “Per noi questa è un’ottima notizia, ci vuole molto coraggio proprio perché spesso manca la protezione dei club”, commenta Bombini che sottolinea però come nessuno “deve sentirsi obbligato o in colpa se non ha intenzione di fare coming out, non è obbligatorio”. Di certo qualcosa sta mutando: “Noi un futuro migliore lo vediamo, per questo ci siamo. Il cambiamento – conclude – si è messo in moto e non si può più fermare”.