Nel centro-nord Italia un rider straniero su dieci lavora in nero grazie ad account che gli vengono ceduti e si ipotizza sia quindi vittima del caporalato. È quanto emerso dai controlli a tappeto effettuati dai militari del Comando carabinieri per la tutela del lavoro in tutti i capoluoghi di provincia e nei principali centri italiani. In poche ore è stata verificata la presenza in strada di 1.609 rider in 225 hotspot (i luoghi dove si ritrovano in attesa di ricevere gli ordini) in tutta Italia. Nel centro-nord su 823 lavoratori stranieri controllati 92 operavano con account non propri, per una percentuale dell’11,2%. In merito a questo fenomeno l’ipotesi di accusa è di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, ovvero caporalato. Saranno interessate le 36 Procure della Repubblica competenti. Gli account in cessione o utilizzati fraudolentemente sono stati eliminati per impedire la prosecuzione delle condotte illecite.
Il generale Antonio Bandiera, comandante del comando carabinieri per la tutela del lavoro, spiega: “Abbiamo effettuato controlli in tutta Italia per tutelare i lavoratori rider dalle nuove forme di sfruttamento, note come caporalato digitale, realizzato attraverso cessioni di account per accedere alle piattaforme di food delivery dietro la corresponsione al titolare dell’account di una quota percentuale del guadagno giornaliero del lavoratore che effettua materialmente la consegna. È stata così verificata la presenza del fenomeno sull’intero territorio nazionale concentrato soprattutto nel centro-Nord Italia e interessante esclusivamente lavoratori stranieri: è emerso che l’11% dei rider stranieri lavorano in cessione di account”.
Inoltre sono state accertate 23 prestazioni lavorative fornite da stranieri irregolari in Italia, avviate verifiche su oltre 1.500 rider in materia di sicurezza e igiene e sequestrati 22 mezzi non idonei alla circolazione stradale in quanto non conformi alla normativa di settore e pericolosi per la salute e l’integrità fisica del rider o degli utenti della strada. Tra i 92 che lavoravano grazie alla cessione di account c’era anche un minore, che è stato riaffidato ai propri genitori.