“Punizioni severe in conformità con la legge e garanzia per la sicurezza dei cittadini cinesi”. È quanto ha chiesto Pechino dopo il recente attacco nella miniera d’oro di Chimbolo, nella Repubblica Centrafricana, costato la vita a nove cinesi. L’assalto al sito d’estrazione, gestito dalla cinese Gold Coast Group e inaugurato solo pochi giorni prima, è avvenuto intorno alle 5.00 di domenica 19 marzo, quando uomini armati hanno superato le guardie aprendo il fuoco. Non ci sono state rivendicazioni immediate, ma i sospetti sono immediatamente ricaduti sulla Coalizione dei Patrioti per il Cambiamento (CPC), alleanza di gruppi insurrezionisti autrice di frequenti aggressioni contro le forze armate locali. I ribelli negano e puntano il dito contro contro Wagner Group. D’altronde, non sarebbe la prima volta: i mercenari russi sono noti per l’impunità con cui operano nel paese e più volte si sono macchiati di violenze ai danni dei civili. Ma in questo caso la nazionalità delle vittime rende la questione particolarmente scivolosa.
Negli ultimi anni il governo cinese non ha nascosto una certa preoccupazione per l’incolumità dei propri investimenti in Africa, nonché della comunità cinese nel continente scosso da guerre civili e attacchi jihadisti. La diaspora cinese, nota per la disponibilità contante, è spesso obiettivo di rapine e assalti da parte di lavoratori africani scontenti. Che siano probabilmente i russi a peggiorare la situazione è un aspetto non discusso pubblicamente che complica la posizione di Pechino. Secondo fonti governative consultate da The Daily Beast, le autorità cinesi vogliono condurre indagini indipendenti per appurare le responsabilità di quanto accaduto.
Come altrove, anche in Africa, “l’amicizia senza limiti” tra Cina e Russia mostra sottili crepe. Rivali al tempo della Guerra Fredda, in piena crisi sino-sovietica Mosca e Pechino sostennero partiti e movimenti di liberazione nazionale, aiutando le fazioni alleate nelle guerre civili in Zimbabwe, Angola e Mozambico. Poi nel corso dei decenni i due paesi si sono spartiti ruoli e competenze, seguendo un copione utilizzato anche in Asia centrale: la Cina, fedele al principio cardine della non ingerenza, si è perlopiù dedicata agli affari economici. La Russia, invece, dopo la dissoluzione dell’Urss ha mantenuto grazie alla sua industria bellica: ha continuato a supportare le capitali africane con la vendita di armamenti e altre forme di assistenza militare; complice la minaccia del terrorismo islamico. Nel 2018, cinque paesi dell’Africa subsahariana – Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania – hanno fatto esplicitamente appello a Mosca per ottenere sostegno nella guerra contro l’Isis e al-Qaeda. In Libia, l’appoggio fornito da Wagner Group al generale Khalifa Haftar, anziché al governo riconosciuto dalla comunità internazionale – come spiega il think tank americano Center for Strategic and International Studies (CSIS) – ha permesso di rafforzare “la posizione geostrategica e l’influenza diplomatica russa” nel Nord Africa, rendendo Mosca un interlocutore imprescindibile in qualsiasi tentativo di soluzione al conflitto.
Nella Repubblica Centrafricana i mercenari russi, addirittura, operano spalla a spalla con il presidente Faustin-Archange Touadéra dal 2018 come “istruttori” nella battaglia di Bangui contro la CPC. Lo fanno in cambio di risorse naturali. Cinque anni fa il ministero degli Esteri russo ha annunciato una collaborazione tra Mosca e il governo di Touadéra che prevede contratti di concessioni minerarie. Uno dei siti estrattivi gestito da Wagner Group si trova molto vicino alla miniera cinese presso cui è avvenuta l’ultima sparatoria. Come risaputo, i rapporti tra il Cremlino e i mercenari non sono limpidissimi, e la diplomazia russa è parsa spesso costretta a convivere – e talvolta a collaborare – con il gruppo paramilitare, soprattutto per questioni di sicurezza, ma non senza tensioni.
Per ovvie ragioni, la Cina non si è mai espressa ufficialmente sulla questione. I censori si sono adeguati: le informazioni sul web cinese sono piuttosto scarne. Tuttavia, un articolo comparso a febbraio sul popolare sito Sohu.com, raccontava come in quei giorni, scontrandosi con la CPC per il controllo di una miniera, “i mercenari di Wagner, che hanno avuto successo in Ucraina, questa volta sono stati catturati in Africa”. Nel testo non si fa menzione di un coinvolgimento del Cremlino, ma un altro pezzo sullo stesso portale spiega che i contractor “combattono [a Bakhmut] per il governo russo”. Considerata l’ossessione di Pechino per la stabilità è molto probabile che le attività di Wagner Group in Africa rappresentino un cruccio per il leader cinesi. Certo, lo nascondono bene. Negli ultimi tempi l’allineamento internazionale con Mosca ha interessato sempre di più anche il continente africano: a fine febbraio – in concomitanza con l’anniversario della guerra in Ucraina – Cina e Russia hanno realizzato esercitazioni militari congiunte con il Sudafrica. Dall’inizio del conflitto, i media cinesi presenti nel continente hanno rilanciato frequentemente la disinformazione russa, attribuendo l’interruzione delle forniture di grano alle sanzioni occidentali. Eppure, dietro lo slogan dell’”amicizia senza limiti” gli interessi dei due paesi spesso finiscono per collidere. Un esempio è l’incremento dell’export militare cinese in Africa, un’area del mondo fino a poco tempo fa fortemente dipendente dall’industria bellica moscovita.
Secondo uno studio dell’Atlantic Council, vedendo minacciati i propri progetti nel continente, tra il 2010 e il 2021 il gigante asiatico ha notevolmente aumentato la vendita di armi nell’Africa subsahariana, dove sono concentrati gli investimenti cinesi. Oggi la Cina rappresenta il 22% delle esportazioni totali, poco sotto la Russia, ancora in cima alla classifica con una quota del 24%. Oltre alla competizione economica, si intravede una radicale dissonanza di vedute: tenendo fede al principio della non ingerenza negli affari altrui, Pechino preferisce delegare il mantenimento della sicurezza ai governi africani, premurandosi semplicemente di rafforzarne l’arsenale e addestrarne il personale. Ben altra scuola di pensiero rispetto ai mercenari di Wagner Group. La popolazione locale non sembra cogliere granché la distinzione. Giovedì circa 200 persone hanno sfilato per le strade di Bangui per mostrare il proprio supporto alle due nazioni amiche che portano investimenti e aiutano a combattere i gruppi ribelli: “Sostieni la Cina” e “Amiamo la Russia e amiamo Wagner” recitavano gli striscioni esposti dai manifestanti.
Aggiornato da redazione web il 25 marzo 2023 alle ore 11.45