Dal 24 febbraio del 2022 ad oggi penso, senza soluzione di continuità, che sostenere l’Ucraina anche militarmente sia stata e continui ad essere la scelta obbligata per garantire l’esistenza di un paese sovrano invaso da una potenza enormemente superiore demograficamente e militarmente. Tanto più, e non mi sembra un dettaglio irrilevante, che la popolazione ucraina è stata ed è determinata a resistere.

Il suo presidente, da comico e leader fino a quel giorno non particolarmente credibile nel realizzare gli obiettivi di democratizzazione e lotta alla corruzione che si era proposto, è rimasto a presidio del suo paese e ha comunicato ogni giorno all’Europa e all’Occidente, a cui sente di appartenere, la necessità di potersi difendere.

So che questa premessa “ebete”, come purtroppo è stata definita anche da Barbara Spinelli, ma rispettosa della realtà viene spesso ritenuta una vuota e stucchevole litania. In primis dai leader pacifisti, abbastanza sui generis del nostro paese, che in nome di un’auspicabile e condivisibile soluzione negoziale, tutta da costruire, pretendono l’immediato disimpegno militare dell’Italia che peraltro contribuisce in modo irrisorio ma che viene propagandisticamente rappresentato come rilevante sottrazione di risorse per ridurre le tasse o alzare le pensioni a danno dei cittadini. Nei giorni del teatrino penoso sull’intervento programmato e di fatto negato di Zelensky a Sanremo, Massimo Cacciari aveva osservato: “I cosiddetti leader politici pacifisti da Matteo Salvini a Giuseppe Conte non sono mai riusciti a spiegarci come, secondo loro, si dovrebbero raggiungere la tregua ed il cessate il fuoco: riempirsi la bocca della parola pace è un velleitario quanto vacuo esercizio fine a se stesso, se non spieghi in che modo politicamente la si può ottenere. Certo la guerra è brutta, si sa da millenni: bellum nefandum est. Ma non basta dirlo per impedirla”.

E nemmeno intimare “Fermatevi!” o liquidare l’impegno dell’Italia, in sintonia con quello dell’Europa da cui sarebbe impossibile sganciarsi anche se non fossimo gravati dal nostro pesante debito pubblico, come “il tributo alla lobby delle armi su cui Giorgia Meloni ha messo la sua faccia di bronzo” (Giuseppe Conte alla Camera nel suo intervento sulle risoluzioni in vista della riunione del Consiglio Europeo). L’accusa di Giuseppe Conte, condivisa dalla variegata galassia del pacifismo, è che il capo del Governo – lasciato plasticamente solo, dalla Lega e supportato da Fi nonostante il primo amico di Putin –ci sta trascinando in guerra, le armi da difensive sono diventate sempre più offensive”.

A distanza di 12 mesi, è il ragionamento del leader del M5S, la promessa di garantire solo una legittima difesa a cui doveva affiancarsi da subito un’iniziativa diplomatica da parte di Europa, Italia e Nato non si è realizzata e conseguentemente oggi a differenza di allora è tempo di “abbandonare l’Ucraina”.

Concetto ribadito ancora più drasticamente dalla senatrice Alessandra Majorino, con l’immancabile richiamo al rischio dell’escalation nucleare sempre più ridimensionato dagli analisti di ogni orientamento ma che alimenta la paura e proporzionalmente il consenso. Infatti la senatrice alquanto bellicosa nei confronti della “furia bellicista” del Pd non solo ha sentenziato che “la strategia del continuo invio di armi è fallimentare” ma ha posto perentoriamente un aut aut: “chi è a favore dell’invio delle armi dunque per l’escalation militare non può essere anche per un percorso diplomatico” e ha persino accusato il Pd, sempre a causa del suo irrefrenabile furore, di aver impedito all’Italia di giocare un ruolo di mediatore nel conflitto, possibile fino a pochi mesi fa.

A parte un tantino di eccesso di considerazione sia per il ruolo internazionale dell’Italia che per il peso politico del Pd, il ragionamento di fondo è: siccome dopo un anno l’Ucraina, con gli aiuti militari dosati e calibrati dell’Occidente per non alimentare il rischio di un allargamento ulteriore del conflitto, non ha sconfitto la Russia allora è tempo di disarmarla e darla in pasto a Putin, così si mette definitivamente in sicurezza il popolo ucraino, si risparmia qualche euro e ci si colloca, se non fuori, ai margini più estremi dell’ Europa facendo al meglio il supremo “interesse degli italiani”. Contemporaneamente si semplificherebbe in via preventiva anche la bega del tavolo negoziale, con Putin ovviamente sempre disposto a dialogare magari affiancato da Prighozin, a quel punto superfluo. Si tratta a ben vedere di una logica stringente.

Ora secondo la Cina, ultimo autoproclamato mediatore che in nome dell’armonia universale tiene abilmente i piedi in tutte le scarpe e ha rinsaldato “l’amicizia incrollabile” con Mosca nei tre giorni di colloqui intimi con Putin – in cui il mitico piano di pace è rimasto accuratamente sullo sfondo – accusa senza mezzi termini gli Usa di “gettare benzina sul fuoco e di ostacolare gli sforzi di altri paesi per promuovere i colloqui di pace”. E della telefonata super annunciata di Xi Jinping a Zelensky per ora non c’è più traccia, mentre l’ex presidente Medvedev ha ribadito in un’intervista ai media russi che “niente può essere escluso e che le forze russe potrebbero spingersi fino a Kiev e anche a Leopoli per eliminare questa infezione”.

Come Putin si sia predisposto all’incontro per rilanciare “il piano di pace cinese” è noto: prima la sfilata in Crimea in un centro per l’infanzia nell’anniversario dell’annessione e all’indomani del mandato di cattura internazionale emesso dalla Corte Penale Internazionale dell’Aia per la deportazione dei bambini ucraini da russificare e denazificare in tempo; poi il blitz notturno alla “nuova” Mariupol ovvero la novella Putingrad edificata sulle macerie e sui cadaveri delle decine di migliaia di vittime della città martire senza virgolette per suggellare la damnatio memoriae del simbolo della resistenza ucraina.

Quanto alla disponibilità reale ad un piano di pace le condizioni di Putin le ha dettate chiare e tonde la portavoce di Lavrov, Maria Zakarova: “L’Ucraina deve essere smilitarizzata e denazificata, le minacce provenienti dal suo territorio devono essere eliminate, il suo status di paese non allineato deve essere assicurato” ed inoltre deve diventare parte integrante di qualsiasi possibile accordo “l’annullamento di tutte le sanzioni e azioni illegali contro la Russia nei tribunali internazionali”.

Mi sembra che, come ha riconosciuto anche Massimo Cacciari che pure non tifa certamente per gli Usa e ritiene che siamo anche noi già in guerra, “non vi siano elementi di volontà di pace da parte della Russia che deve capire che se vuole uscire da questa situazione deve solamente ritirarsi”. Ha anche aggiunto che “il disfacimento di Putin sul piano internazionale è raggiungibile anche senza la III guerra mondiale” e dal mio punto di vista è un obiettivo altamente auspicabile e non da oggi, ma dal giorno remoto in cui ha imposto la propria leadership cleptocratica, dissennata e criminale che ha prodotto il disastro e la tragedia attuali. Se pensare da sempre con coerenza questo significa essere guerrafondaia, bellicista, militarista, serva della Nato e anche “scema di guerra”, appellativo in fondo più ironico, mi rattrista solo in parte.

E mi viene anche da pensare che Anna Politkovskaja che aveva previsto con dolorosa lucidità quello a cui stiamo assistendo era per i suoi connazionali “la pazza di Mosca”. Vorrei ricordarlo ai molti pacifisti bellicosi che spesso sono miti e comprensivi solo con Putin probabilmente “lupo tra i lupi” ma che sembra talvolta avere un appeal un po’ speciale.

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