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Biagio Antonacci, il figlio Paolo: “A 20 anni avevo un disturbo ossessivo compulsivo molto forte, quando smisi le cure il dottore temeva l’effetto rebound”

di F. Q.

“Ho paura di essere un aneddoto, non voglio essere ridotto a una curiosità perché sminuirebbe quello che faccio. Ho voglia invece di lasciare il segno con la musica e con l’arte. Questo Sanremo è stato psico-magico per me, mi ha fatto fare pace con il cognome, con la sofferenza di essere figlio e nipote di. Ora vivo di questo mestiere, mi posso comprare casa”. È il figlio di Biagio Antonacci e il nipote di Gianni Morandi e per anni questa parentela illustre è stata il suo cruccio. Finché quest’anno la classifica finale del Festival Sanremo lo ha visto trionfare con 2 canzoni sue tra la cinque finaliste e così è finalmente riuscito a fare pace con il suo cognome ingombrante. Stiamo parlando di Paolo Antonacci, autore tra i più richiesti del momento sulla scena musicale: per dire, tormentoni come “Tango” di Tananai, “Made in Italy” di Rosa Chemical ma anche “Mille” e “La dolce vita” con Fedez sono opera sua. Il giovane artista si è raccontato in un’accorata intervista al Corriere della Sera, in cui ha parlato del momento buio vissuto prima di trovare finalmente la sua strada nella musica.

“Mi arrabbio sempre e dico che non devo nulla a nessuno, ma in realtà devo tutto a Davide Simonetta con cui lavoro in coppia e al nostro manager Stefano Clessi – ha confidato Paolo -. Davide, che è più grande di me di una decina d’anni, è come una mamma, un papà, un fratello, una fidanzata… Quando lavoriamo in coppia, lui più sulla produzione e le melodie e io su testi e melodie, è come se ci fosse una coscienza superiore, un cervello condiviso. Prima di conoscerli attorno ai 20 anni ho attraversato un momento difficile: avevo un disturbo ossessivo compulsivo molto forte, vivevo in una foresta di simboli e mi vergognavo come un cane… sono finito in day hospital per una cura di antidepressivi. Ero nella merda, avevo delle canzoni ma avevo anche paura di espormi per la solita questione di famiglia. Smisi le cure e il dottore temeva l’effetto rebound: ‘Finirà a fare zapping sul divano’, disse. Sei mesi dopo ho incontrato loro, ho cambiato cure e mi sono ripreso”. Tanto che ora, dice, “la mia fidanzata si arrabbia e dice che penso solo alla musica… Sul pratico ha ragione lei, sono imbranato nel 70 per cento dei task che per altri sono semplici, mi dimentico pure di mettere la spesa in frigo…”.

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