C’erano oltre mille persone ad ascoltare lo scrittore Antonio Scurati, il padre della trilogia “M”, uno dei casi editoriali degli ultimi anni (da cui presto vedremo anche una serie tv targata Sky Original), a uno degli incontri che oggi hanno chiuso l’VIII edizione di Biennale Democrazia, la manifestazione culturale ideata e presieduta da Gustavo Zagrebelsky. Un’edizione dal titolo “Ai confini della libertà” – che ha visto alternarsi per quattro giorni 220 ospiti da tutto il mondo, in più di 100 incontri – che ha raccolto oltre 48.000 partecipanti e ha visto Torino trasformarsi in un vero e proprio laboratorio di democrazia. La manifestazione è partita giovedì scorso con il dialogo fra la giornalista Francesca Mannocchi e la giornalista ed attivista turca Ece Temelkuran su “Come nasce una dittatura”, anticipato dalla lettura di una lettera della senatrice a vita Liliana Segre. E oggi si è chiusa con Antonio Scurati che ha riflettuto, assieme alla vicedirettrice del Fatto quotidiano Maddalena Oliva, su come “Mussolini inventó (anche) il populismo”.
Il grande successo della trilogia “M” (M – Il figlio del secolo, M – L’uomo della provvidenza, M – Gli ultimi giorni dell’Europa) sta non tanto nell’idea di un “suggestivo ritorno storico, a 100 anni dai fatti che racconto”, spiega Scurati, quanto proprio nella grande attualità di un personaggio come il Mussolini politico. “Io credo che l’attualità di Mussolini dipenda da alcune sue intuizioni su ciò che sarebbe divenuta la politica nell’era delle masse, che allora si apriva e oggi giunge nella sua fase matura”.
Senza mai dimenticare “la mano con cui Mussolini e il fascismo stuprarono l’Italia”, Scurati si concentra sull’altra mano, quella con cui Mussolini riuscì a sedurre l’Italia, passando nel giro di tre anni dall’essere un politico sconfitto, fallito, reietto, al diventare il popolo. Troppo facile, e fuorviante, dire che “oggi loro sono tornati, non voglio fare la parte da copione dello scrittore di sinistra, perché la violenza delle squadre fasciste per le strade non c’è”, risponde Scurati. Ma c’è – ed è più sottile – allora come oggi, una seduzione autoritaria. Il Mussolini inventore del populismo intuì non solo l’importanza dell’identificazione totale tra corpo del leader e popolo (Io sono il popolo. Il popolo sono io); i meccanismi di esclusione dell’estraneo, del diverso, del dissidente; la prontezza da “opportunista funambolico” con cui tradire e rinnegare se stesso (da socialista a fermo persecutore dei socialisti, da anticlericale a clericale, da pacifista a belligerante…). Intuì soprattutto – ed è qui che si fanno più forti certi richiami con l’oggi e con alcuni dei leader politici sulla scena italiana ma non solo – la forza della “semplificazione” e dell’antipolitica (Noi non siamo la politica, siamo l’antipolitica. Noi non siamo un partito, siamo l’anti-partito) contro le vecchie mummie del Palazzo.
Mussolini, spiega Scurati, sostiene che “la democrazia si è rivelata un esperimento fallimentare, il Parlamento complica inutilmente la vita, tutti i problemi si riducono a un unico nemico invasore, il nemico sta di fronte a te e io sto al tuo fianco”. È l’uomo che guida le masse non precedendole e indicando obiettivi alti e lontani, ma “fiuta, come le bestie, il tempo che viene”. E cosa fiuta? Fiuta il malessere, la “paura delle speranze degli altri”. Ed è proprio soffiando su quelle passioni tristi, su quella malinconia di un popolo stanco e impaurito che Mussolini – “dovete immaginarlo come un contenitore vuoto che più soffia è più si riempie e diventa grande” – conquista l’Italia. “La platea che Mussolini si trova davanti al teatro Lirico (…) le facce non sono già più le stesse (…) – scrive Scurati nel suo M – Il figlio del secolo – si notano commercianti, impiegati statali, quadri dirigenti di basso livello, le giacchette dignitose e lise della piccola borghesia impoverita dall’inflazione galoppante”. Cento anni fa, come oggi, quel popolo immalinconito è ancora qui, tra noi.