Una strada sterrata impastata di polvere non lontano dallo stadio Seyni Kountché e adiacente al palazzo che ospita il ministero della Giustizia. Giusto accanto all’ufficio di accoglienza e registrazione dei migranti dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, Oim. Proprio lì sulla strada, sabato scorso, è nata una bimba. Mamana è la madre, originaria della Sierra Leone, mentre il padre della stessa nazionalità è al momento irreperibile. Una bimba nata in esilio a Niamey sulla strada, luogo di transito, incontro, scambio, compravendita, attesa, passaggio, spazio di vita politica e sociale. La strada è il luogo dal quale veniamo e al quale torniamo se è vero che la vita non è che un viaggio, un pellegrinaggio o un sentiero dove la meta si confonde con lo stile e la modalità del cammino.

Lei è nata nella notte come per illuminare il mondo e si trova adesso, assieme alla madre, ospite delle strutture dell’Oim in attesa di tornare un giorno al Paese. Loro, Francesco e Laura, si erano sposati serenamente in chiesa, una cappella in seminterrato tra pochi intimi con lo statuto di richiedenti asilo. Originari del Sud Sudan che avevano abbandonato a causa della guerra civile che aveva tutto distrutto del loro passato. Cercano ingenuamente futuro a Niamey con l’aiuto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, Hcr.

Ai loro due figli, domenica scorsa, si è aggiunto un terzo nato anche lui in esilio e, senza saperlo o volerlo, già richiedente asilo come tutti i neonati di questo mondo abituato ormai alle stranezze degli umani. Durante la cerimonia del matrimonio Laura, la sposa posava la mano sul suo ventre che già annunziava il prossimo arrivo di un nuovo passeggero in cerca d’autore. Laura e suo marito avevano avuto un tempo di apprensione perché, nel recente passato, un figlio si era perduto prima della nascita. La gioia del padre era sobria e intensa come quella di un uomo.

Altre donne migranti sono incinte e potrebbero dare alla luce le loro creature nella capitale del Niger. Stranieri e compagni di esilio con altre migliaia di migranti espulsi, deportati, abbandonati, perduti e ritrovati. Una città nella città fatta di bambini che ancora non sanno che troveranno documenti, frontiere, fili spinati e mani amiche occasionali che non metteranno in discussione il sistema. Dormono in strada o accanto alle stazioni di approdo delle compagnie dei bus con le madri che li nutrono per un miracolo quotidiano chiamato solidarietà tra poveri. Sono in buona compagnia perché, malgrado una recente diminuzione della natalità nel Niger, è ancora la più importante del mondo. La speranza di vita alla nascita è di 53, quattro anni ben al di sotto della speranza di vita media nel mondo che è di circa 71 anni.

Si aggiungerebbero ai neonati che fanno del Niger il Paese più ‘giovane’ del pianeta. Poveri nell’economia e ricchi di nuove persone che potranno cambiare il mondo oppure lasciarlo com’è. Tutto dipenderà dal modo col quale saranno assunte le sfide o le opportunità che la sabbia, il vento e il destino non ancora scritto potrà creare. Intanto, nell’altro continente chiamato Europa, continua l’inverno demografico e sulle strade non nascono bimbi, ma pannelli pubblicitari, centri commerciali e bar. C’è chi addebita il calo demografico alla crisi economica e all’incertezza per il futuro. Non si vuole che i nuovi arrivi siano nella nave che conduce alla perdizione. In realtà la crisi è ancora più radicale e rivela quanto l’Occidente abbia smarrito la speranza che nasce, appunto, sulla strada della vita.

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