Recuperare un campo abbandonato e costruire dal nulla una squadra di calcio con rifugiati e richiedenti asilo. Azioni concrete e per tutti, contro ogni discriminazione. Liberi Nantes è un’associazione sportiva dilettantistica senza scopo di lucro, indipendente, laica, apolitica e basata sul volontariato, nata a Roma nel 2007. Tra le attività proposte dall’associazione: calcio femminile e maschile, touch rugby, escursionismo e trekking urbano, insegnamento della lingua italiana attraverso lo sport. Ne abbiamo parlato con Alberto Urbinati, co-fondatore e presidente.
Com’è nata l’associazione?
Nasce in modo spontaneo nel 2007 da un gruppo di ragazzi che frequentavano gli stadi e che lì trovavano un terreno fertile in cui venivano coltivati istinti razzisti e di discriminazione. Era anche un periodo in cui il tema degli sbarchi cominciava ad essere molto frequente nelle cronache. C’era proprio questa voglia di usare lo stesso strumento, il calcio, ma in modo diverso e dunque come strumento di fratellanza e di unione. Quindi è stata messa in piedi una delle prime squadre in Italia formata da ragazzi migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Dall’anno successivo è arrivata dai partecipanti la richiesta di prendere parte ad un campionato vero. La squadra di calcio è mista e poi ce n’è anche una femminile, che si sta allenando da un paio d’anni regolarmente, anche se al momento non partecipa a nessun torneo codificato.
‘Campionato vero’, cioè?
Abbiamo sempre giocato competizioni del calcio ufficiale. Per una realtà come la nostra veniva molto facile pensare di fare amichevoli o partite fra migranti e associazioni sensibili, invece noi abbiamo scelto di fare i campionati federali. Quest’anno è il nostro 13esimo. L’altro elemento significativo è quello di aver preso in gestione un campo abbandonato.
Parliamo proprio di questo: qual è stato il percorso che avete seguito?
Era un campo sportivo abbandonato da 15 anni in zona Pietralata, a Roma (quadrante Est della città, ndr). Lo abbiamo riportato in vita e ora è uno dei motori del quartiere, uno dei posti in cui la comunità si ritrova e dove si può accedere ad attività gratuite e aperte a tutti, migranti e non.
Non c’è alcun paletto, di condizione economica ad esempio?
Noi tendiamo a non creare nessun tipo di categorizzazione. Ci piace l’idea che sia aperto a tutto, indipendentemente dall’ISEE. È chiaro che, numeri alla mano, è un servizio che viene accolto in maniera principale da persone che sono in una situazione non idilliaca dal punto di vista sociale ed economico. Parliamo di attività non solo sportive, c’è anche l’aiuto compiti fatto da un’insegnante in pensione, insieme a uno-due assistenti. Finita l’ora di studio vanno in campo, dove possono decidere se fare atletica leggera o calcio. Sono di fatto due ore a disposizione di tutti. Abbiamo poi un salotto di comunità, curato da una psicologa, che intercetta situazioni familiari a volte anche molto complicate.
Come siete stati accolti dai cittadini della zona?
Il quartiere è molto ricettivo da questo punto di vista. È un quartiere storico e con valori forti. Non c’è stato nessun problema.
La politica, invece?
Sinceramente non speravo in questa domanda (ride, ndr). Il nostro campo è uno spazio pubblico e noi teniamo fortemente al fatto che rimanga pubblico. A chi appartiene? All’ATER, quindi l’azienda che si occupa di edilizia pubblica, di dipendenza della Regione Lazio. Purtroppo dal 2010 ad oggi io non sono riuscito ad aprire un tavolo di confronto effettivo per superare alcune criticità urbanistiche che abbiamo ereditato. Tante parole, mai tradotte in atti concreti, nonostante siano venuti tanti rappresentanti regionali nel corso delle varie giunte. Spero che possa smuoversi qualcosa, cercheremo di aprire un dialogo con la nuova amministrazione regionale, visto che quella precedente ci ha lasciato così.
C’è una storia in particolare che porta nel cuore?
È una domanda difficile, ne sono passate davvero tante. Mi viene in mente la storia di un ragazzo fantastico che arrivava dal Gambia ed è stato il capitano della squadra di calcio. Con grande umiltà è riuscito a trovare lavoro con un contratto a tempo indeterminato e poi ha avuto il coraggio di lasciare quel lavoro, dopo circa 10 anni che stava qua, perché nel frattempo, con le rimesse che aveva mandato alla sua famiglia d’origine, loro sono riusciti ad acquistare un pezzo di terra e a sviluppare un’attività lì. Lui è tornato nel suo Paese per fare l’imprenditore lì e ha lasciato quello che, per tantissimi, era un miraggio. Ha rinunciato a tutto questo per tornare al suo Paese. Ciò dimostra il fatto che poi non c’è tutta questa bramosia di stare qui in Italia a tutti i costi. Quando ci sono le condizioni per stare bene nel proprio Paese, le persone lo preferiscono.
Se dovesse pensare ad oggi, invece?
Ogni giorno ci sono storie da raccontare. Ad esempio di recente dei genitori, chiacchierando fuori dal campo, mi hanno detto: ‘Nostra figlia è migliorata tantissimo a scuola, grazie al vostro doposcuola sportivo, sta andando meglio, le è tornata voglia di leggere, di studiare’. Ecco, quando tutto quello che hai pensato – ottenendo i finanziamenti, con tutte le rotture di scatole annesse – diventa concreto e tangibile, è un motivo d’orgoglio.
Per lei è un lavoro adesso?
Lo è diventato. Dopo tanti anni di nulla, adesso ho uno ‘stipendio’, diciamo un ristoro ecco. Io ho fatto per tanti anni l’informatico ma poi il mio lavoro era diventato poco stimolante, per cui ad un certo punto ho accettato uno scivolo della mia azienda e ho preso questo periodo per buttarmi a capofitto in Liberi Nantes, cercando di farla diventare un’impresa sociale. Questo percorso, adesso, è a buon punto. L’associazione può attingere da diverse fonti di finanziamento, anche molto diverse tra di loro: bandi, investitori privati, fondazioni, aziende. Ciò ci consente di rendere quasi tutte le nostre attività gratuite per tutti.
Il prossimo obiettivo che vi siete prefissati?
Abbiamo coinvolto i vari attori attivi nel quartiere per dare possibilità educative ai ragazzi al di fuori della scuola. Facciamo un periodo di formazione ispirata alla ‘pedagogia del desiderio’, con l’arte, con l’educazione. Partiamo da quello per alimentare altri processi positivi, si tratta del ‘progetto della comunità educante di Pietralata’. Sui nostri social, giorno dopo giorno, aggiorniamo chi ci segue su tutte le attività. La cosa bella di quest’anno è che a Pietralata c’è una caserma di militari e, quando hanno saputo di Liberi Nantes, sono venuti a conoscerci. Quindi la squadra di quest’anno è formata da ragazzi migranti e da 4-5 militari: mondi che sembrano così distanti riescono, invece, a stare insieme e a valorizzarsi reciprocamente.
“In onore delle vittime del #naufragio di Cutro. Perché siamo parte della stessa storia di un unico destino in cui ogni vita ci riguarda”, si legge in un post pubblicato due settimane fa da Liberi Nantes su Instagram, a corredo di alcuni scatti con i ragazzi che hanno indossato la fascia nera in segno di lutto.