“Il mio percorso non è lineare, ho fatto diversi studi e lavori. E oggi sono felice”. Luciano Canosa ha 48 anni ed è un informatico: da sei anni vive in Spagna, a Valencia, dopo esser stato in Messico per quasi un anno. “Sono andato via perché non volevo più vedere l’Italia, perché la odiavo. Non sopportavo più l’illegalità diffusa, la maleducazione, la mentalità ristretta di molta gente”. In Spagna, per Luciano, c’è il “miglior compromesso del mondo tra clima, qualità dei servizi, lavoro, allegria e cordialità”.
Originario di Matera, Luciano ha vissuto in Basilicata fino a 19 anni. Dopo il diploma di ragioniere si è trasferito a Cremona per frequentare una scuola di liuteria. “Non ero bravissimo, ma ho voluto provarci con tutte le forze. Sono partito per tornare, perché amavo moltissimo la mia città e volevo darle qualcosa che non aveva”. Quando torna a Matera Luciano non ritrova più lo stesso clima. “In quel momento ho cercato un posto migliore per vivere. Ho cambiato mille volte idea, non potevo sbagliare”.
Nel giugno del 2003 parte per il Messico. “Insegnavo italiano in una scuola a León, città industriale di un milione di abitanti, nel mezzo della zona coloniale, dove la gran parte della gente si dedica a fabbricare scarpe. La vita lì è bella, il clima è meraviglioso, non si vive secondo le regole e gli schemi che imbrigliano l’Italia, c’è libertà e felicità”, racconta Luciano. “Lo Stato in Messico non esiste, nel bene e nel male – continua –. Puoi fare qualunque lavoro, improvvisarti oggi cuoco domani elettricista, se vuoi, e non sarai soggetto a mille restrizioni”. Tutto ciò che è alla base della vita “costa molto poco”, ma se si vuole altro (auto, viaggi, vacanze) allora i costi “si alzano e per molti diventano impossibili da sostenere”. I servizi “non funzionano”, sanità e scuola pubbliche “sono improponibili”, aggiunge.
Alla fine del primo anno di insegnamento, “avrei potuto continuare – ricorda Luciano – ma si guadagnava poco”. “Così, dopo il matrimonio, io e mia moglie decidiamo di tornare in Italia”. Nel 2009, dopo la nascita di sua figlia, Luciano si iscrive a 35 anni al Politecnico di Torino, così da poter pianificare una nuova vita all’estero. “Dopo sei anni di studio matto e disperatissimo riesco a laurearmi”. Nel 2017 è in Spagna. “Sono arrivato qui già con un lavoro. L’azienda mi ha accolto bene, le amicizie me le sono costruite a poco a poco”.
Oggi Luciano lavora come programmatore in un’azienda di software, ha una stabilità lavorativa “notevole”, uno stipendio “superiore alla media” e LinkedIn che “scoppia perché mi propongono continuamente alternative”. L’informatica, dice, “mi ha ricollocato in una posizione privilegiata e mi ha ripagato di ogni sacrificio”. E con la pandemia che ha favorito ulteriormente lo smart working, dice, “ora potrei andare a vivere ovunque e lavorare da remoto per sempre”.
Per quanto riguarda la vita di tutti i giorni, a Valencia i trasporti sono “efficienti”, gli spazi verdi “abbondano in ogni quartiere” e le spiagge sono “tutte libere”. “Muoversi in città è facile e per niente stressante: si può andare in bici ovunque perché ci sono piste ciclabili in ogni strada che non vengono mai invase dalle auto”. Parcheggiare, invece, è molto più complicato, perché il comune “ha dichiarato guerra all’auto e ha reso quasi impossibile parcheggiare ovunque”. Quanto alla cucina, che gli italiani all’estero a volte rimpiangono, nella città spagnola non manca nulla delle nostre tradizioni più conosciute. “Valencia è piena di italiani, ci sono pizzerie autentiche, al supermercato si trovano gli stessi marchi di pasta che trovo a casa, così come lo stesso caffè. Coi pomodori del mercato faccio io la salsa ogni anno. Ecco, se proprio qualcosa mi manca, quello è il pane di Matera”, sorride. Tornare in Italia però non è un’opzione. “Non torno nemmeno per le vacanze di Natale o di Pasqua. Se dovessi ancora avere voglia di muovermi, in futuro, potrei scegliere di visitare altri posti, di fermarmi anche a lungo. Ma l’Italia no”. Tra cinque anni Luciano potrà prendere la cittadinanza spagnola e rinunciare a quella italiana. “Da quando ho traslocato qui sono tornato una sola volta, per un matrimonio. E anche allora, dopo mezz’ora, appena mi sono messo al volante, volevo tornarmene in Spagna”.