“L’intento della dottoressa Sinatra di ottenere, attraverso l’azione del dottor Palamara, il condizionamento dei componenti del Consiglio superiore della magistratura nella scelta dell’ufficio di procuratore della Repubblica di Roma in danno di uno dei candidati, allo scopo meramente privato di perseguire la riparazione di un torto subito quattro anni prima (…) evidenza l’intrinseca scorrettezza e gravità della condotta, che si è concretizzata in una sorta di “giustizia fai-da-te” intesa dall’incolpata come unica modalità suscettibile di darle soddisfazione”. Lo si legge nelle motivazioni della sentenza con cui il 21 febbraio scorso la sezione disciplinare del Csm ha condannato alla sanzione della censura (la più lieve possibile) la pm di Palermo Alessia Sinatra per aver tenuto un “comportamento gravemente scorretto” nei confronti di Giuseppe Creazzo, ex procuratore capo di Firenze e ora in servizio alla Procura minorile di Reggio Calabria. A maggio del 2019, infatti, Sinatra aveva inviato vari messaggi a Luca Palamara (l’ex leader della sua corrente, Unità per la Costituzione, poi radiato dalla magistratura dopo lo scandalo nomine), “sollecitandolo a intervenire presso i componenti” del Csm “per metterli in guardia dall’esprimere il loro voto” a favore di Creazzo, che in quei giorni era in lizza per la poltrona di procuratore di Roma. Il risentimento di Sinatra era dovuto a una violenza sessuale subita da Creazzo nel dicembre 2015, durante un’iniziativa di corrente in un hotel romano, sanzionata dalla sezione disciplinare con la perdita di due mesi di anzianità.

La pm aveva scelto di non denunciare il collega in sede penale (la violenza sessuale di lieve gravità non è perseguibile d’ufficio) né aveva mai avanzato domanda di risarcimento in sede civile. Ma in seguito aveva cercato – per usare le sue stesse parole – “una sorta di anelata e privatissima rivincita esclusivamente morale” spendendosi per far fallire la sua corsa al vertice della Procura capitolina. Nei messaggi acquisiti dalla Procura di Perugia e trasmessi al Csm, Sinatra chiamava ripetutamente “porco” l’ex capo dei pm di Firenze e chiedeva rassicurazioni a Palamara (“Giurami che il porco cade subito”, “non mi dire che Creazzo ci crede”) dicendosi “disposta a tutto” per evitare la sua elezione e insistendo per parlare di persona con i consiglieri di Unicost, la corrente a cui tutti e tre appartenevano: “Il mio gruppo non lo deve votare“, “Non si può correre il rischio”, “Ma Morl (Gianluigi Morlini, ex togato di Unicost, ndr) ha capito bene?”, “Sabato me lo lavoro bene”. Il tenore di queste comunicazioni “non è quello di una mera privata conversazione su quanto potesse essere condivisibile che il dottor Creazzo andasse a ricoprire l’ufficio (…) ma è sintomatico dell’intesa tra i due soggetti che a qualunque costo avrebbero dovuto condizionare negativamente, attraverso impropri canali di stretta appartenenza correntizia, i componenti del Consiglio superiore della magistratura nella votazione”, scrive nella sentenza la consigliera relatrice Rosanna Natoli, laica in quota Fratelli d’Italia.

“L’incolpata”, si legge nel provvedimento, “ha infatti ritenuto più opportuno, anziché denunciare l’accaduto all’autorità giudiziaria nell’immediatezza dei fatti, utilizzare tale impropria e obliqua modalità di reazione rivolgendosi, in prossimità della votazione (…) all’amico dottor Palamara affinché condizionasse dall’esterno (visto che non era più componente del Consiglio superiore della magistratura, ma conservava ancora intatta una salda rete relazionale), l’attività consiliare. In tal modo, la dottoressa Sinatra, nonostante il suo status di magistrata, ha dimostrato evidente e profonda sfiducia nell’istituzione giudiziaria così direttamente colpendone il prestigio e, contestualmente ledendo la sua stessa immagine di magistrata attraverso l’indebita via dell’appartenenza correntizia, ponendo in essere una condotta che rileva anche sul più generale versante deontologico”. Un comportamento che, secondo la sezione disciplinare, “non può trovare esimente nell’esigenza affatto privata e personale dell’incolpata, non perseguita secondo le modalità di reazione previste dall’ordinamento, di ottenere una rivincita morale per essere stata vittima quattro anni prima di condotte abusanti. Non può infatti mancarsi di osservare che la dottoressa Sinatra, non avendo ritenuto di denunciare le condotte abusanti del dottor Creazzo mediante formale querela, ben avrebbe potuto far valere comunque le sue ragioni nell’opportuna sede civile, dovendosi rimarcare che il magistrato, come qualunque altro cittadino, è tenuto ad esperire le tutele – e solo esse – consentite dall’ordinamento”.

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