Sia il Tribunale di Sorveglianza di Sassari che quello di Milano hanno rigettato la richiesta di differimento pena per gravi motivi di salute presentata dai legali di Alfredo Cospito, il 56enne detenuto anarchico in sciopero della fame dal 20 ottobre scorso contro il regime di 41-bis a cui è sottoposto da maggio 2022. I difensori, avvocati Maria Teresa Pintus e Flavio Rossi Albertini, chiedevano che Cospito potesse scontare la sua condanna definitiva a trent’anni di reclusione (per il ferimento del dirigente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi) agli arresti domiciliari presso la casa della sorella, a Viterbo.
Il sostituto procuratore generale di Milano si era espresso in senso contrario all’istanza, aprendo però all’ipotesi che il detenuto potesse essere collocato in modo stabile nel reparto di medicina protetta dell’ospedale San Paolo, dove attualmente si trova. La Procura nazionale antiterrorismo e la Procura generale di Torino (competente sul procedimento per strage per l’attentato alla scuola allievi Carabinieri di Fossano, nell’ambito del quale Cospito è sottoposto a custodia cautelare) avevano espresso parere negativo alla concessione dei domiciliari, sottolineando “l’estrema pericolosità sociale del detenuto in ragione dei suoi collegamenti con l’associazione terroristica denominata Fai/Fri, attualmente ancora operativa”.
I giudici di Milano hanno respinto sia la domanda della difesa sia (per questioni di competenza) quella del pg. “Dagli atti risulta che l’attuale condizione clinica del detenuto Alfredo Cospito è diretta conseguenza dello sciopero della fame”, una forma di protesta “rinnovata e gestita in maniera altalenante” che “è frutto di un ragionamento preordinato e consapevole“, scrivono. Ricordando che il detenuto “ha reiteratamente ribadito, da ultimo anche nel corso dell’udienza” di essere disposto a sospendere il digiuno “solo se fossero stati scarcerati “quei quattro vecchi malati che ci sono in Sai” (il Servizio di assistenza intensificata del carcere di Opera, ndr)”.
L’iniziativa dell’anarchico, secondo la Sorveglianza, non può essere ricondotta nemmeno a patologie di tipo psichiatrico, “in quanto dalle relazioni sanitarie in atti e anche all’esito del consulto psichiatrico risulta che il Cospito è lucido, collaborante, non emergono alterazioni della percezione né acuzie psichiatriche in atto ed egli appare consapevole dei rischi connessi alla prosecuzione del regime dietetico”. E quindi va applicata la giurisprudenza della Cassazione che ha ribadito più volte che il differimento pena non può essere concesso se lo stato di salute viene determinato da comportamenti propri. La detenzione, scrivono inoltre i giudici, “non si palesa neppure astrattamente confliggente con il senso di umanità della pena, avuto riguardo alle condizioni oggettive del Cospito, che (…) sono il frutto di una
deliberata e consapevole scelta sulla quale permane “un discreto compenso cardio-circolatorio” e – attraverso l’ubicazione nel reparto ospedaliero dove si trova – il più attento monitoraggio clinico concepibile“.