25 luglio, Pavia. Al termine della sessione estiva uno studente di medicina si toglie la vita in una residenza universitaria. Schiacciato dal timore di perdere la borsa di studio per via di qualche esame mancato, prima di compiere il gesto estremo invia una lettera al rettore.
7 ottobre, Bologna. Nelle acque del Reno viene ritrovato il cadavere di un ventitreenne. La famiglia l’aveva raggiunto dall’Abruzzo per la laurea fissata quel giorno, così almeno gli aveva detto.
15 gennaio, Palermo. Francesco, al terzo anno di economia, nella notte lascia un biglietto: “fallimento, università e politica”. Il giorno seguente sarebbe iniziata la sessione invernale, ad attenderlo un esame che proprio non riusciva a superare. Era la sua ultima chance per non finire fuori corso.
1 febbraio, Milano. Nei bagni dell’Università Iulm viene ritrovata senza vita una studentessa di 19 anni impiccatasi con una sciarpa alla maniglia dell’appendiabiti. Anche il suo biglietto, lasciato vicino a giacca e borsetta, parla di “fallimenti, personali e nello studio”.
27 febbraio, Napoli. Diana, ventisettenne prossima a una laurea in lettere moderne alla Federico II, si getta da un dirupo sul monte Somma. Era uscita di casa “per consegnare una copia della tesi”. Nella lettera d’addio racconta di non aver avuto il coraggio di dire la verità: a separarla dalla fine del percorso universitario c’era ancora l’esame di latino.
Sono solo alcune delle tragedie più recenti riportate dalle cronache dei giornali. Poi ci sono quelle tenute riservate dalle famiglie, di cui non è dato sapere. Una strage silenziosa, mese dopo mese. Individualismo, ansia da prestazione, incapacità di accettare il fallimento e gestire le aspettative: è questa l’altra faccia della narrazione dei laureati prodigio che tanto piace. Chi non dorme perché il sonno è tempo perso, chi termina gli studi con anni d’anticipo, chi discute la tesi durante il travaglio.
Una società non più comunità, ma somma di solitudini non ammette fragilità. Secondo l’Istat nel 2021 in Italia 220mila teenager erano insoddisfatti della propria vita e in uno stato di disagio emotivo. Generalmente tra gli adolescenti con problemi di salute mentale, solo il 41% riesce a chiedere aiuto rivela un’indagine Unicef. Non stupisce che il suicidio, dopo gli incidenti stradali, sia ormai la seconda causa di decesso tra i 15 e i 24 anni. Dato accresciutosi drammaticamente dopo la pandemia.
Molti atenei, seppur con poche risorse e lunghi tempi di attesa, hanno avviato servizi di counselling e sportelli psicologici. E ora pare si muova anche il Mur: l’obiettivo sarebbe quello di rendere strutturale il “Fondo per il sostegno dei giovani e favorire la mobilità degli studenti”, come già fatto con il bonus psicologico (che in compenso è stato definanziato passando da 25 a cinque milioni per il 2023). Ma a poco servono gli aiutini se non si ha la forza di rimettere mano al modello.
A questa generazione viene chiesto di dare il massimo, di eccellere, di performare sempre e comunque, ma a che prezzo e per cosa? L’Italia è sotto la media europea per tasso di occupazione dei giovani laureati, con una forbice che si allarga spaventosamente al sud. Gli indicatori che fotografano il trattamento economico e professionale degli under 34 sono impietosi. Precariato, stipendi improbabili, ascensore sociale fermo e lo sguardo da rivolgere all’estero. Troppo spesso dopo quell’agognata laurea che per alcuni è costata la vita, non c’è un bel niente.
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