L’indipendentismo catalano ha subìto un duro colpo, l’ennesimo. Le dimissioni di Nicola Sturgeon, leader del Partito Nazionale Scozzese (Snp) e premier di Scozia, la prima donna a riunire a sé entrambe le cariche, hanno un riflesso anche sulla questione Catalogna. Ogni grande battaglia politica porta all’individuazione di riferimenti storici e culturali, per dare forza alle idee propugnate e per emulare gesta che facciano apparire la meta possibile. L’indipendentismo catalano ha indirizzato lo sguardo principalmente alle vicende interne al Regno Unito dove lo Sinn Féin e il partito guidato fino allo scorso febbraio da Mrs. Sturgeon hanno posto al centro del dibattito l’indipendenza dell’Irlanda e della Scozia.

Negli ultimi anni, quando la questione catalana è diventata centrale nella politica spagnola, non è stato difficile vedere la St. Andrew cross, la bandiera scozzese, sventolare sui balconi di Barcellona o nei massicci cortei della Diada, la festa settembrina dell’indipendentismo. Colpiva la caparbietà degli scozzesi e la capacità frutto di una persistente azione, ai fianchi del governo britannico, di ottenere un referendum per esprimersi sul distacco da Londra.

Quella consultazione del 2014 ha rappresentato per i catalani la bussola che indica la direzione della buona politica. Presi dall’ansia emulativa tre anni dopo, nell’ottobre del 2017, Carles Puigdemont e Oriol Junqueras, diedero vita a un referendum non riconosciuto, anzi espressamente osteggiato da Madrid e dal Tribunale costituzionale. Fu l’inizio di un chiaro declino, i leader catalani non seppero cogliere che una negoziazione preliminare con Londra, l’Accordo di Edimburgo, era il fulcro dell’iniziativa politica del partito indipendentista scozzese. La Generalitat preferì al negoziato il braccio di ferro scegliendo la strada dell’unilateralismo. Seguirono arresti, processi nei confronti dell’intera classe dirigente, esili e infine lacerazioni nello stesso fronte favorevole alla separazione da Madrid.

Ora anche la via scozzese si sfalda, Nicola Sturgeon ha sempre perseguito soluzioni vidimate dal sigillo della legalità invocando a gran voce la possibilità di un’altra consultazione, malgrado tutti i sondaggi attribuiscano la maggioranza ancora agli unionisti. Il governo conservatore stavolta ha girato le spalle allo Scotland National Party, del resto la premessa posta alla base del precedente accordo prevedeva che quelle elezioni del 2014 fossero “giuste, legali e decisive”.

E il sogno di una nuova consultazione si è infranto, chissà definitivamente, sulle 35 pagine della pronuncia della Corte Suprema la quale ha osservato che il parlamento di Edimburgo non può esercitare potere legislativo in materia senza la preventiva autorizzazione di Westminster. Una strada senza uscita che, secondo gli analisti, avrebbe portato a dimissioni che lasciano un cumulo di macerie nella famiglia degli indipendentisti scozzesi e tanti orfani nelle stanze della politica catalana.

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