Nadine apre la porta di ferro della sala che un tempo era l’ingresso della stazione parigina di Charonne e si blocca. Si aspettava gente, ma non così tanta. La riunione del comitato d’azione della “Rete per lo sciopero generale” è iniziata da neanche mezz’ora e non c’è più posto a sedere. Marion, in prima fila, le fa un cenno. Poi riabbassa la testa e twitta in diretta sull’account ufficiale del gruppo: “Siamo in 150”. Nadine, che di mestiere fa l’autista di bus in periferia ed è in sciopero continuativo dal 7 marzo, resta ferma sulla porta ad ascoltare i compagni e si prenota per l’intervento. A Parigi sono passate da poco le 19 di una giornata lunghissima di scioperi, proteste “selvagge” e blocchi. La maggior parte dei presenti ha passato la mattina bloccando i camion all’ingresso di un inceneritore. Era poco dopo l’alba e ora c’è già da pensare alla prossima azione e, soprattutto, prepararsi per la decima giornata di sciopero generale. Il clima è pesante: l’ultima manifestazione imponente ha risollevato il morale e la repressione sempre più dura delle forze dell’ordine ha scatenato una nuova ondata di indignazione. Ma tenere il ritmo, dopo quasi tre mesi, è dura. E i militanti sono sempre più stanchi. “Ecco perché siamo qui stasera, perché ora per resistere dobbiamo organizzarci”, dice Laura aprendo l’assemblea. “Non possiamo permetterci di disperdere le energie”. Partono gli applausi.
La platea è mista: seduti nella penombra del locale la Flèche d’or, che si chiama così perché da qui partivano gli storici treni Londra-Parigi, ci sono facce di tutte le età. E soprattutto mestieri diversi: ferroviere, insegnanti, infermiere, bibliotecari, dipendenti pubblici. La serata non è aperta a tutti: l’appello è partito online, ma solo dopo una breve intervista via mail è stato concesso di conoscere l’indirizzo. Chi sei, che lavoro fai e in che zona abiti: lo scopo dell’incontro è operativo e solo chi può dare una mano concreta è ammesso. Anche perché il movimento è di fronte a un bivio. “Io lavoro per le ferrovie a Paris Nord”, esordisce Laura. “Stasera siamo qui per confrontarci e fare una specie di stato maggiore dell’attività nella regione parigina. Da qualche giorno vediamo che c’è un cambiamento della mobilitazione. Dopo una fase molto controllata, ora ci sono tante azioni spontanee. E poi si stanno unendo anche i più giovani, cosa che non era il caso fino a poco fa e che sta portando forza a tutti i lavoratori. Non scendono in piazza solo per la pensione, ma anche per i salari, le condizioni di vita e contro questo sistema politico. Avere dalla nostra parte una gioventù arrabbiata è molto importante”. Laura grida al microfono: vuole farsi sentire bene, ma soprattutto convincere anche i più demoralizzati. E’ faticoso, dice, ma di fronte “a un governo così debole”, “dobbiamo e possiamo organizzarci”. Perché ora o mai più. “La differenza la sta facendo l’asse tra vari lavoratori. Non siamo soli”. E si mette a elencare le ultime azioni: venerdì scorso, ad esempio, hanno riempito due bus per raggiungere la raffineria di Gonfreville-l’Orcher in Normandia e in 200 hanno sostenuto i compagni precettati dal governo per tornare al lavoro. “Lunedì mattina siamo stati davanti all’inceneritore di Ivry”, alle porte di Parigi, “e grazie alla presenza massiccia dei manifestanti abbiamo bloccato i camion”. Il problema, chiude Laura, “ora è riuscire a estendere gli scioperi. Per farlo servono tanti comitati come quello di stasera”.
Inizia a girare il microfono e a turno si prende la parola. Non si conoscono tutti: l’obiettivo era coinvolgere reti diverse e aprire un dialogo. Tra gli organizzatori principali dell’incontro c’è un piccolo partito di estrema sinistra (Révolution permanente) e il suo leader, Anasse Kazib, che è anche ferroviere e sindacalista Sud Rail. “Dobbiamo convincere altre persone a scioperare”, dice. “E per farlo dobbiamo allargare le nostre parole d’ordine, che devono riguardare anche inflazione e salari”. Kazib è preoccupato per la tenuta del morale di chi sciopera: “Siamo a fine mese, iniziano ad arrivare le buste paga e non ci sono abbastanza soldi per pagare l’affitto o mangiare. E’ così che ci vogliono convincere a cedere. Dobbiamo aumentare la raccolta fondi per le casse dello sciopero e aiutare i nostri compagni”. Ad ascoltarlo, mimetizzata tra la folla, anche l’attrice vincitrice due volte del premio César Adèle Hanael: era con loro venerdì per il picchetto di solidarietà a chi lavora nelle raffinerie, è tornata anche per il comité organizzativo. Non parla, ma a fine serata accetta di fare un video per la raccolta fondi che viene lanciato online.
Il microfono gira ancora e prende la parola un tecnico di Tgv che da dieci giorni fa sciopero selvaggio, ovvero non rispetta i turni chiesti dall’azienda per garantire un servizio minimo. Indossa la tuta da lavoro e racconta che, ogni giorno, insieme ai colleghi mettono sul tetto dell’ufficio la bandiera della protesta e ogni sera viene tolta. “E’ un simbolo, ma è importante. Noi siamo scioccati perché uno dei nostri compagni ha perso un occhio durante l’ultima manifestazione. Io lavoro lì da quando ho 15 anni e proprio lui mi aveva accolto per primo. Siamo tutti sconvolti per quello che gli è successo. Io vi prometto che nelle prossime ore non ci sarà uno solo treno che uscirà e lo faremo per il nostro compagno”. Arriva anche il turno di Nadine. “Io sono in sciopero da quasi un mese. Ogni giorno esco di casa e non so a quale azione di protesta finirò. Guardate che questa spontaneità è fondamentale perché li sta disorientando. Per il resto, la fatica è da mettere in conto. Lo sappiamo che funziona così e non possiamo spaventarci proprio adesso”.
A preoccupare è soprattutto la reazione del governo contro i cortei. “E’ una strategia molto potente”, dice Gabriel che si presenta come un ecologista radicale. “Sanno che se vieni picchiato durante un protesta, poi difficilmente tornerai in piazza. Perché ci sono le ferite fisiche, ma anche quelle psicologiche”. Le immagini di quello che è successo alla manifestazione del 26 marzo contro il bacino idrico a Sainte-Soline le hanno viste tutti. E le ultime notizie parlano di due militanti ricoverati e che sono tra la vita e la morte. “Qualcuno dice che abbia segnato un punto di non ritorno per la polizia. Io dico che è la ripresa di un modo di agire che hanno sempre avuto”. Proprio la repressione delle forze dell’ordine però, apre un nuovo asse dentro il movimento. Lo dice Stéphane che interviene per gli studenti e riporta le parole dei suoi compagni: “Sappiate che in queste ore ci sono state assemblee partecipatissime sia nelle università che nei licei. Sono dalla nostra parte e l’indignazione per il comportamento della polizia non ha fatto altro che rafforzare le loro motivazioni”. Il Reseau intanto si è organizzato: Joshua fa il giurista e ha messo in piedi un collettivo con tanto di numero verde d’emergenza per chi dovesse avere bisogno di una difesa legale. “Chiamateci se avete bisogno”, dice prima di tornare al suo posto.
Sono passate quasi tre ore e ancora nessuno se ne è andato. La chiusa tocca ancora a Laura: “Lo sapevamo che Macron e i suoi avrebbero reagito. Ora la domanda è: noi siamo pronti a reagire e opporci a un governo che non è mai stato così debole?”. Applaudono tutti: non è facile, ma chi è venuto fino lì ci proverà. Intanto gira il foglio per raccogliere i numeri di cellulare: nasceranno dei piccoli comitati divisi per area e già nelle prossime ore saranno contattati per i blocchi. Prima di andare Kazib chiama all’ordine: c’è da fare un video di sostegno per Mehdi, uno dei loro che è stato preso di mira e massacrato in rete dall’estrema destra. La sala si alza e intona uno dei cori del corteo “pour la grève generale”. E’ ancora solo l’inizio, lo giurano.