“Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa Relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa“. Il Recovery plan arranca, tra carenze amministrative e rincari di energia e materie prime. E il ministro degli affari europei e del Pnrr Raffaele Fitto, intervenendo alla presentazione della relazione della Corte dei Conti sul Pnrr alla Camera, ammette “in chiaro” che a qualche progetto – forse molti – si dovrà rinunciare. O meglio: la sua idea è che potrebbero essere recuperati finanziandoli con fondi di coesione che hanno scadenze più lontane nel tempo. Ovviamente non sarebbe affatto lo stesso. L’impatto sulla crescita dei prossimi tre anni dovrebbe essere rivisto al ribasso.
La presa d’atto di Fitto – che non ha mancato di sottolineare come sia “abbastanza ridicolo” il tentativo “di attribuire a questo governo delle responsabilità” per lo slittamento della consegna della terza tranche del Pnrr – prende spunto dai dati messi in fila dalla Corte. Che mostrano come al dicembre 2022, escludendo gli esborsi per crediti d’imposta che operano in automatico, solo 10 dei 191,4 miliardi della Recovery and resilience facility (il 6%) sia stato “messo a terra”. E siano per esempio stati spesi solo 79 milioni contro i 343 preventivati (su 15,6 miliardi totali) per la “missione” Salute, meno di 240 milioni contro i 631 previsti per Inclusione e coesione sociale, 2,4 miliardi contro i 6,4 che avrebbero dovuto essere utilizzati per la transizione ecologica.
Accanto all’allarme sulla scarsa capacità di spendere i fondi europei del Pnrr – anche per colpa di “modalità di reclutamento del personale con formule non stabili” che “hanno fatto emergere non poche difficoltà per le amministrazioni” – la relazione ne contiene peraltro anche un altro. Ci sono forti “criticità e ritardi” anche sui programmi del Piano complementare che integra con 30 miliardi di risorse nazionali gli interventi del Pnrr vero e proprio. “La difficile situazione di contesto, legata alle tensioni inflazionistiche e al rialzo dei prezzi dei beni energetici, ha costituito un ostacolo nell’avanzamento delle procedure nel corso del 2022″, scrive la magistratura contabile riguardo al Pnc.
“Ulteriore elemento di ritardo, secondo quanto rappresentato dalle amministrazioni responsabili, è stato identificato nei tempi di conseguimento delle autorizzazioni da parte della Commissione europea in tema di aiuti di Stato“. Il risultato? Continue riprogrammazioni in seguito alle quali “nel primo semestre del 2023, agli obiettivi non completati, in ritardo o parzialmente completati nel 2022 (n. 40) si aggiungono ulteriori 37 nuovi adempimenti, di cui 14 da realizzare nel primo trimestre e 23 nel secondo”. Così il governo ha dovuto nuovamente intervenire sull’iter di attuazione dei programmi “con un nuovo aggiornamento dei cronoprogrammi procedurali contenenti gli obiettivi iniziali, intermedi e finali degli interventi”. Dei 24 programmi osservati, “solamente per 21 sono stati concretamente avviati i progetti; ad essi si associano risorse del PNC per 16,7 miliardi”.
Tornando alla carenza di personale, la Corte ribadisce che “in particolare nel Mezzogiorno” molte amministrazioni “non hanno competenze adeguate per seguire procedure così complesse come quelle del PNRR. Il riscontro effettuato con le Amministrazioni interessate fa registrare come, nonostante il notevole sforzo effettuato per intensificare il reclutamento, permangono all’interno degli uffici condizioni penalizzanti quali l’elevata età media e l’insufficiente presenza delle relative competenze (dagli ingegneri, agli specialisti di appalti, agli informatici, ai tecnici Ict) soprattutto se coniugate in chiave digitale. Una situazione che a sua volta dipende, almeno in una certa misura, dal sostanziale blocco delle assunzioni che ha caratterizzato lo scorso decennio, per il risanamento dei conti pubblici. Poi c’è quello che gli esperti identificano come mancato incontro di competenze; una quota di lavoratori si trova ad essere cioè sotto-qualificata rispetto alle mansioni che svolge, a fronte di altri che al contrario appaiono sovra-qualificati.
In più “permangono preoccupazioni per gli interventi in ambito territoriale laddove, soprattutto in alcune aree del Paese, è richiesta un’azione di razionalizzazione per garantire uniformità ed omogeneità di presidio e di offerta dei servizi nonché per consentire lo svolgimento di efficaci controlli sui flussi di risorse e sul raggiungimento degli obiettivi finali dell’intervento. Anche in questo caso la maggiore disponibilità di risorse non appare di per sé sufficiente ad assicurare che vengano prontamente raggiunte le finalità ultime dell’intervento, in mancanza di interventi complementari sul funzionamento delle strutture destinate ad erogare i servizi alla cittadinanza. Ciò riguarda in particolare gli interventi di rigenerazione urbana volti a ridurre la situazione di emarginazione e degrado sociale dove l’amministrazione titolare è chiamata a gestire, monitorare e rendicontare una rilevante quantità di opere con un costante e corretto monitoraggio che assicuri un altrettanto corretto e costante flusso di risorse finanziarie dall’amministrazione titolare al soggetto attuatore”.