La messa in latino non è finita. È il senso dell’ultima provocazione dei sostenitori della celebrazione tridentina. Dito puntato contro Papa Francesco, reo, secondo i tradizionalisti, di aver di fatto abolito la messa di san Pio V con il motu proprio Traditionis custodes del 2021. Un documento che, secondo quanto dichiarato dall’arcivescovo Georg Gänswein subito dopo la morte di Benedetto XVI, ha “spezzato il cuore” a Ratzinger. Il Papa tedesco, infatti, nel 2007, aveva liberalizzato la messa in latino con il motu proprio Summorum pontificum, una delle decisioni più controverse del suo pontificato. Per due settimane, ovvero durante le celebrazioni pasquali, nei dintorni del Vaticano resteranno affissi alcuni manifesti dedicati alla messa tradizionale in latino. Su ciascuno di essi campeggia la scritta: “Per amore del Papa. Per la pace e l’unità della Chiesa. Per la libertà della messa tradizionale latina”.
Il primo manifesto riporta una frase di san Pio V tratta dalla costituzione apostolica in forma di bolla Quo primum tempore con la quale, il 14 luglio 1570, fu approvata l’edizione riformata del Messale Romano in seguito ai decreti del Concilio di Trento: “Decretiamo e dichiariamo che le presenti lettere in nessun tempo potranno venir revocate o diminuite, ma sempre stabili e valide dovranno perseverare nel loro vigore”. Il secondo manifesto, invece, riporta un passaggio del messaggio di san Giovanni Paolo II ai partecipanti all’assemblea plenaria della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti del 21 settembre 2001: “Nel Messale Romano, detto di san Pio V, come in diverse liturgie orientali, vi sono bellissime preghiere con le quali il sacerdote esprime il più profondo senso di umiltà e di riverenza di fronte ai santi misteri: esse rivelano la sostanza stessa di qualsiasi liturgia”. Nel terzo e nel quarto manifesto vengono riprese due frasi di Benedetto XVI tratte da Summorum pontificum. La prima: “Il Messale Romano promulgato da san Pio V e nuovamente edito dal beato Giovanni XXIII (oggi santo, ndr) deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico”. E la seconda: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”.
Gli organizzatori di questa protesta hanno spiegato di aver “voluto rendere pubblico il profondo attaccamento alla messa tradizionale proprio quando ne sembra programmata l’estinzione: per amore del Papa, affinché sia paternamente aperto alla comprensione di quelle periferie liturgiche che da qualche mese non si sentono più ben accette nella Chiesa, perché trovano nella liturgia tradizionale la piena e compiuta espressione della fede cattolica tutta intera”. E aggiungono: “La crescente ostilità nei confronti della liturgia tradizionale non trova giustificazione né sul piano teologico, né su quello pastorale. Le comunità che celebrano secondo il Messale del 1962 non sono ribelli alla Chiesa; al contrario, benedette da una costante crescita di fedeli e di vocazioni sacerdotali, costituiscono un esempio di salda perseveranza nella fede e nell’unità cattoliche, in un mondo sempre più insensibile al Vangelo, e in un tessuto ecclesiale sempre più cedevole a pulsioni disgregatrici. Per questo, l’atteggiamento di rifiuto con cui i loro stessi pastori sono oggi costretti a trattarle, non è solo motivo di acerbo dolore, che questi fedeli si sforzano di offrire per la purificazione della Chiesa, ma costituisce anche una grave ingiustizia, davanti alla quale la carità stessa impone di non tacere: ‘Un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla’ (S. Gregorio Magno). Nella Chiesa dei nostri giorni, in cui l’ascolto, l’accoglienza e l’inclusione ispirano ogni azione pastorale, e si vuol costruire la comunione ecclesiale ‘con metodo sinodale’, questo popolo di fedeli comuni, di giovani famiglie, di ferventi sacerdoti, ha la fiduciosa speranza che la sua voce non venga soffocata, ma accolta, ascoltata e tenuta nella giusta considerazione. Chi va alla ‘messa in latino’ non è un fedele di serie B, né un deviante da rieducare o una zavorra di cui liberarsi”.
Da parte sua, Francesco ha spiegato di aver voluto, attraverso un’ampia consultazione, valutare l’applicazione concreta del provvedimento di Benedetto XVI: “Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei predecessori, i quali avevano inteso ‘fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente’, è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni. Mi addolorano allo stesso modo gli abusi di una parte e dell’altra nella celebrazione della liturgia. Al pari di Benedetto XVI, anch’io stigmatizzo che ‘in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un’autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività, la quale porta spesso a deformazioni al limite del sopportabile’. Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la tradizione e la ‘vera Chiesa’”.
“Un’ultima ragione – ha precisato ancora il Papa – voglio aggiungere a fondamento della mia scelta: è sempre più evidente nelle parole e negli atteggiamenti di molti la stretta relazione tra la scelta delle celebrazioni secondo i libri liturgici precedenti al Concilio Vaticano II e il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la ‘vera Chiesa’. Si tratta di un comportamento che contraddice la comunione, alimentando quella spinta alla divisione”. E ha concluso: “È per difendere l’unità del corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei predecessori. L’uso distorto che ne è stato fatto è contrario ai motivi che li hanno indotti a concedere la libertà di celebrare la messa con il Missale Romanum del 1962”.