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Israele, Netanyahu replica a Biden sulla riforma della giustizia: “Ritirarla? Non accettiamo pressioni, nemmeno dagli amici”

Il caos interno generato dalla contestatissima riforma della giustizia promossa dal governo di estrema destra israeliano mostra anche alcune crepe nello storico rapporto privilegiato tra Tel Aviv e Washington. Mentre le piazze israeliane manifestavano chiedendo lo stop al provvedimento e l’estrema destra, invece, incalzava il primo ministro minacciando di togliere l’appoggio al governo, anche l’amministrazione americana ha lanciato il suo messaggio ai principali alleati mediorientali: “Non si può continuare su questa strada”. Nella mattinata di mercoledì, però, arriva la risposta decisa del premier Benjamin Netanyahu: “Israele è un Paese sovrano che prende le decisioni per volontà del popolo e non sulla base di pressioni dall’estero, comprese quelle dei migliori amici“.

Il nuovo attrito tra i due esecutivi non fa altro che sottolineare il cambio di rotta nei rapporti bilaterali avvenuto col passaggio di consegne alla Casa Bianca tra Donald Trump e Joe Biden. Dopo un periodo di difficoltà da parte di Tel Aviv, dovuto alla maggior equidistanza voluta da Barack Obama nei rapporti con lo Stato ebraico e con la Repubblica Islamica dell’Iran, con il tycoon si era tornati a una strategia americana nuovamente schiacciata sulle posizioni israeliane, col supporto anche dell’Arabia Saudita, con l’obiettivo di ricacciare Teheran nell’isolamento che aveva caratterizzato la presidenza di Mahmud Ahmadinejad. Da quell’impostazione sono nati la rottura dell’accordo sul nucleare di Teheran, gli Accordi di Abramo, la decisione di spostare l’ambasciata americana a Gerusalemme e molti altri provvedimenti che seguivano lo stesso trend. Trend che ha appunto conosciuto uno stop quando nello Studio Ovale è arrivato Joe Biden, con Washington che, almeno nelle dichiarazioni ufficiali, è tornata a lanciare avvertimenti a Tel Aviv riguardo alle azioni più radicali e controverse, dall’uccisione della reporter di al-Jazeera Shireen Abu Akleh, a Jenin nel maggio scorso, fino, appunto, a questa nuova proposta di legge che limita di fatto il potere giudiziario delle corti israeliane assoggettandolo in parte a quello politico.

“Come molti forti sostenitori di Israele – ha dichiarato Biden citato dai media – sono molto preoccupato. Si spera che il premier agisca in modo da cercare di trovare un vero compromesso ma resta da vedere”. Poi, il capo dell’amministrazione Usa ha anche escluso che “nel breve termine” possa esserci una visita del primo ministro d’Israele negli Stati Uniti. Entrambi, comunque, hanno anche provato a evitare che il botta e risposta potesse generare un’escalation nei rapporti diplomatici che avrebbe danneggiato entrambi gli esecutivi. È stato proprio Netanyahu, con una nota diffusa dal suo ufficio, a ricordare che i rapporti col presidente americano vanno avanti “da oltre 40 anni e apprezzo il suo impegno di lunga data nei confronti di Israele”. L’alleanza con gli Usa, ha continuato, “è indissolubile e supera sempre i disaccordi occasionali tra di noi. La mia amministrazione è impegnata a rafforzare la democrazia ripristinando il giusto equilibrio tra i tre rami del governo. Equilibrio che stiamo cercando di raggiungere attraverso un ampio consenso”. Allo stesso modo, Biden parlando dall’aeroporto di Morrisville (North Carolina) aveva escluso di voler in qualche modo “interferire” nelle faccende interne di Israele: “Non vogliamo interferire. Non stiamo interferendo. Sanno la mia posizione e quella dell’America. Conoscono la posizione dell’ebraismo Usa”.

Twitter: @GianniRosini