Circa un anno fa un collega mi telefonò per organizzare un ciclo di supervisioni, di solito 5/6 incontri, presso una struttura sanitaria ove lui opera. Col termine “supervisione” si definisce l’attività di un esterno, non coinvolto nelle dinamiche del gruppo degli operatori sanitari, che conducendo il gruppo aiuta a trovare soluzioni innovative all’equipe che opera sul campo.

Di solito si parla di casi clinici che hanno messo in difficoltà il reparto (ad esempio ricordo il caso, in una rianimazione, di un paziente giovane tetraplegico a seguito di incidente che si arrabbiava con gli operatori e li apostrofava insultandoli). Pur trattandosi di attività pagata molto poco rispetto all’impegno che richiede mi sono reso disponibile. Ritengo che chi ha acquisito esperienza e professionalità debba, anche a scapito di una remunerazione bassa, trasmettere il suo bagaglio di maturazione clinica.

Dopo alcuni giorni mi telefonò un responsabile della formazione per chiedermi vari documenti fra cui il curriculum e una lettera di disponibilità. Dopo un mese mi arrivò una lettera di un altro burocrate che mi diceva che la mia richiesta (in realtà la richiesta era loro) sarebbe stata al vaglio di una commissione. Dopo un mese la commissione mi mandò una lettera dicendo che era stata approvata la mia (sic) richiesta. Dopo altri due mesi mi telefonò un altro burocrate, responsabile di non so che cosa, dicendo che avrebbe inoltrato la pratica al suo superiore. Dopo altri due mesi questo superiore mi mandò lettera che la mia richiesta (e dai) era al vaglio del direttore generale. Da allora più nulla per sei mesi fino al momento attuale.

Ora la domanda è: ma quanti responsabili di questo e quello ci sono? Quanta burocrazia per una spesa di poco conto? Ma veramente tutti questi burocrati sono necessari? Non rischiano di bloccare invece che favorire il lavoro dei sanitari?

In questi giorni nella mia regione Emilia Romagna è in atto una polemica per i tempi di attesa eccessivi per visite mediche specialistiche e per gli interventi (un amico che deve attuare protesi all’anca ha ricevuto la previsione di 2 anni di attesa). In questo modo si spinge l’utenza a ricercare nel privato l’esame o la prestazione che non viene erogata dal servizio pubblico. Negli stessi giorni – da una ricerca fatta dal collega Nicolino Dautilia – emerge che, statisticamente, ogni giorno nella sola provincia di Modena avviene un’aggressione verbale o fisica a un operatore sanitario. Visto che la provincia di Modena corrisponde grosso modo a un centesimo degli abitanti italiani si può ipotizzare che ogni giorno in Italia avvengano cento aggressioni ad operatori sanitari.

Questi elementi mettono in evidenza una sofferenza dei servizi sanitari in particolare per quanto riguarda coloro che sono direttamente a contatto col pubblico ed erogano le prestazioni. Costoro vengono percepiti dal pubblico come responsabili diretti delle disfunzioni. Negli ultimi trenta anni abbiamo assistito a un aumento mastodontico dell’apparato burocratico nella sanità con moltiplicazioni delle figure che organizzano, coordinano, dirigono, gestiscono e contemporaneamente a un depauperamento dei servizi sanitari. Coloro che operano direttamente medici, infermieri, osa, addetti alle pulizie sono sempre meno mentre aumentano gli uffici con relativi burocrati. Il problema è che questi burocrati, per giustificare la loro esistenza, si inventano ogni giorno nuovi report, tabelle, grafici, statistiche, procedure che i sanitari devono compilare. In questo modo lungi dall’essere facilitatori divengono spesso un peso.

L’organizzazione sanitaria si regge se la base di chi lavora è ampia e chi organizza e dirige sono relativamente pochi. Se, come l’esempio della supervisione che non arriva, la burocrazia diviene enorme tende a schiacciare gli operatori sanitari che lavorano sul campo. L’utente non si può arrabbiare col burocrate o dirigente che non vede ma si accanisce con l’operatore del pronto soccorso o del reparto con cui ha contatto e che differisce la prestazione per mancanza di tempo. Assistiamo al fatto che non si trovano più medici o infermieri per certi lavori divenuti eccessivamente gravosi come i pronti soccorso. Il rischio è che gli operatori sanitari, vessati da un apparato burocratico mastodontico, decidano di licenziarsi aggravando la situazione. Già si vedono le avvisaglie di questa tendenza alla defezione da certe attività come i pronto soccorso ritenute troppo gravose e pericolose.

Occorre velocemente togliere la politica dalla sanità. Si tratta di un vecchio slogan mai attuato ma che ora è urgente per permettere la sopravvivenza dei servizi sanitari. La politica deve stare fuori dando solo delle indicazioni generali per lasciare ai rappresentanti eletti fra i medici, gli infermieri, gli osa e i portantini la gestione. Fra le indicazioni politiche deve esserci quella di bloccare le assunzioni per i burocrati amministrativi per qualche anno ridimensionando il loro numero per aumentare gli operatori sanitari che lavorano direttamente a contatto coi pazienti.

Se la politica, tramite le Regioni, continuerà ad occupare la sanità e ad aumentare la burocrazia a scapito dell’erogazione dei servizi in breve tempo il servizio sanitario nazionale, diverrà residuale per dare spazio ai servizi privati.

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