Il governo Meloni mette mano al “payback” sanitario riuscendo in una storica impresa: versare oltre un miliardo di euro e scontentare tutti, ma proprio tutti, dai medici ai produttori di dispositivi medici. Il governo ha inserito questo importo per ripianare i debiti sui dispositivi biomedicali acquistati dalle Regioni nel periodo 2015-2018 sforando i budget sanitari assegnati, lasciando buchi che – secondo il meccanismo rispolverato da Renzi e preteso da Draghi – sono chiamate in concorso a ripianare al 50% anche le aziende del settore, esposte per 2,2 miliardi di euro da iniettare nei bilanci regionali 2022. Il decreto va loro incontro con un pacchetto che, oltre a scontare di metà il “debito”, aggiunge un ulteriore differimento dei pagamenti al 30 giugno (dovevano scattare a gennaio, poi a marzo…) e la possibilità di scontare l’Iva su quanto versato portandola in detrazione. Solo che la reazione dei produttori non è un “grazie” ma un sonoro schiaffo.
Da sempre Confindustria Dispositivi Medici chiede l’abolizione del payback. Ieri il suo presidente Massimiliano Boggetti ha fatto sapere di non gradire quel mezzo paracadute ad apertura vincolata con cui Palazzo Chigi sembra voler dividere la categoria. Lo “sconto” è infatti subordinato al fatto che le aziende seppelliscano l’ascia dei ricorsi (“andremo al Tar per chiedere la cancellazione”, dice Boggetti); il decreto poi non si fa carico delle storture che da sempre, a detta delle imprese, accompagnano la misura, come le richieste di payback sui servizi che per legge dovevano essere esclusi dal conteggio (ma nelle fatture sono inclusi e vanno scorporati). Nulla dice poi sul futuro, vale a dire sull’applicazione del meccanismo anche al quadriennio 2018-2022 che per la categoria è un po’ come una mina lasciata sotto la sanità. Allarme che Boggetti ha così rievocato ieri: “Questa misura decreterà la fine del Servizio Sanitario Nazionale e dell’attrattività del nostro Paese da parte delle imprese dei dispositivi medici”. E i medici, appunto?
Anche loro non le mandano a dire. L’ossigeno, rilevano i camici, non va nei macchinari veri e propri, non finisce direttamente nella sanità pubblica ma nei bilanci regionali. Differenza non da poco alla cui delusione dà voce il presidente dell’associazione Anaao Assomed Pierino Di Silverio: “Siamo molto delusi e ora con le altre sigle sindacali, all’interno dell’Intersindacale, capiremo come reagire a questa ennesima occasione persa”. I toni sono duri e promettono battaglia: “La sanità è in mano a tecnocrati che la considerano un prodotto e non un bene alienabile, mi pare chiaro che l’obiettivo è svenderla ai privati. Ma noi non ci stiamo e ci faremo sentire”. Insomma, le uniche che ci stanno sono le Regioni che hanno speso oltre i budget e possono sperare di chiudere a giugno i bilanci 2022 in pareggio. E si aspettano che le aziende colmino l’altra metà dei buchi. Si vedrà. Intanto a pagare per ora sono solo (e sempre) i cittadini.