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“Un gattone di centotrenta chili ci ha insegnato che l’amore non ha limite”: la storia di Anthony Bourke e John Rendall e del loro legame con un leone

Arriva in libreria il bestseller mondiale “La gioia di ruggire insieme”

Un giovane leone adulto nello sterminata savana africana si avvicina con passo felpato a due ragazzi, prima con circospezione, poi travolgendoli letteralmente, ma di affetto e feste, come chi è incredulo e felice di ritrovare vecchi amici che non vedeva da tempo. Molti milioni di persone nel mondo si sono emozionati di fronte al video di quello straordinario abbraccio nella natura selvaggia, uno dei più visualizzati di Youtube, e probabilmente anche uno dei più commoventi apparsi su uno schermo, tanto da diventare un simbolo dell’amore che supera il limite e dell’amicizia che infrange ogni barriera, anche quella di specie.

Ora questa storia straordinaria, che al New York Times ha fatto evocare “Il Piccolo Principe” e ad altri ha ricordato le favole di Sepúlveda, pur se qui ogni cosa è verissima, è un libro tutto da leggere, scritto dagli stessi protagonisti umani. Si intitola “La gioia di ruggire insieme” e, dopo aver conquistato le classifiche del bestseller in tutto il mondo, tradotto in 18 lingue, esce nelle librerie italiane per Libreria Pienogiorno. Ciò che ha portato Anthony Bourke e John Rendall, due giovani australiani trapiantati a Londra, fin nella savana keniota tra le braccia di un maestoso leone è il cammino imprevedibile del destino. Qualche anno prima, mentre fanno acquisti da Harrods, i due vedono qualcosa che li fa trasalire. Nel reparto animali dei famosi magazzini, dove per un certo periodo, a patto di poterseli permettere, si potevano acquistare perfino animali esotici, è in vendita un cucciolo di leone di pochi mesi. I due nulla sanno di leoni, ma capiscono subito che non possono permettere che Christian, come lo chiamano prima ancora di averlo con sé, vada incontro a una vita di cattività. Con molto coraggio, e un pizzico di incoscienza, decidono di comprarlo per una cifra per loro strabiliante.

Inizia da qui una convivenza fatta di responsabilità, sfide psicologiche e fisiche con un animale dalla personalità complessa e forte, ma soprattutto di amicizia, fiducia, rispetto reciproco, di un amore generoso e indistruttibile. E delle scelte, a volte ardue, che chi ama prima o poi è chiamato a fare: in questo caso, separarsi da Christian. Affidato nientemeno che a George Adamson, il leggendario naturalista considerato uno dei padri fondatori della conservazione della fauna selvatica, il progetto per inserire nel proprio habitat naturale l’ex cucciolo ormai troppo cresciuto è irto di difficoltà di ogni tipo, ma alla fine coronato dal successo. Ma non è possibile dimenticare Christian, che ormai è diventato un giovane e valoroso capobranco. Così i due ragazzi decidono di recarsi in Kenya con la speranza di rincontrarlo. “In tanti provavano a dissuaderci – raccontano i due – dicendoci un po’ di tutto: che era troppo pericoloso, che ormai quel cucciolo era diventato un animale selvaggio, che non ci avrebbe riconosciuto, che quasi sicuramente avrebbe potuto attaccarci. Tutti si aspettavano che avessimo paura. Invece non ne avevamo. Non di Christian, almeno”. Fino a quell’abbraccio incredibile con un gattone di centotrenta chili e dalle zanne lunghe più di quattro centimetri, capace di far inumidire gli occhi a mezzo mondo.

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo in esclusiva un’anticipazione di “La gioia di ruggire insieme”.

È un viaggio breve da Knightsbridge, dove si trova Harrods, fino a Chelsea, ma il mondo di Christian in quei pochi momenti deve avere improvvisamente assunto proporzioni enormi. Spaventato e confuso, quando la macchina ha iniziato a muoversi ha preso ad arrampicarsi su di noi e siamo stati costretti a fermarci diverse volte, non avendo idea di come tenerlo sotto controllo. Abbiamo cercato di placarlo con un orso di peluche gigante che gli avevamo comprato come regalo di benvenuto, ma la sua totale mancanza di interesse nei confronti del giocattolo ci ha spiazzati e lasciato inermi. Alla fine, siamo arrivati al Sophistocat, dove i nostri amici ci stavano aspettando impazienti. Lo abbiamo portato nel negozio e lui, ora più calmo, ha iniziato a zampettare in giro, esplorando ogni angolo ed evitando tutte le mani che si allungavano incredule e timide per accarezzarlo. Era disorientato e concentrava le sue attenzioni principalmente su di noi. Avendo passato molto tempo con lui da Harrods, eravamo probabilmente l’unico collegamento con il suo passato. Siamo rimasti in piedi tutta la notte a giocare insieme. Christian era finalmente nostro. […]

In un paio di giorni sembrava essersi pienamente adattato al nuovo ambiente. Qualsiasi inibizione iniziale era sparita e l’orso di peluche era già ridotto in un milione di pezzi. Era evidente quanto apprezzasse la libertà che aveva in quel grande negozio a due piani e gli piaceva stare in nostra compagnia. I leoni non sono affatto sprezzanti, anzi, sono socievoli quasi come i cani. Semplicemente sanno di essere i numeri uno e, di conseguenza, si comportano con naturale superiorità. Christian aveva quattro mesi, pesava circa quindici chili ed era lungo più di un metro, come se fosse un orso di peluche a grandezza naturale. Adorava essere preso in braccio e coccolato, con le zampe ci circondava il collo e con la sua grande lingua ci leccava la faccia. Aveva la pelliccia soffice e fulva ed era sorprendentemente maculato. Anche se ben coordinato nei movimenti, la testa, le zampe e le orecchie erano sproporzionate rispetto al resto del corpo, dando un’indicazione di quanto avrebbe dovuto ancora crescere in taglia e forza. Ma erano i begli occhi rotondi e color ruggine a dominare su tutto: si guardavano incessantemente intorno cercando ogni volta qualcosa di nuovo su cui investigare. Erano il suo tratto principale: espressivi, intelligenti, trasmettevano amore e fiducia ma sapevano anche sfidarti, e sconfiggerti. Certe volte avevano una limpidezza e una lucentezza incredibili, ma altre potevano diventare opachi e imperscrutabili e dare l’idea di guardare attraverso di noi verso un’altra dimensione, dalla quale eravamo irrimediabilmente esclusi.

A differenza di altri felini, i leoni sono una specie gregaria e sociale e Christian, senza alcun dubbio, ci vedeva come la sua famiglia, ed era tremendamente affezionato a noi. Poiché i leoni si salutano tra di loro toccandosi, testa contro testa, spesso ci abbassavamo per fare in modo che potesse farlo anche con noi, e ogni volta che ci separavamo da lui, a prescindere dalla durata della separazione, sapevamo che a casa ci aspettava un affettuoso benvenuto, fatto di leccate e di coccole. Adorava starci vicino, appoggiarsi, sedersi su di noi. Spesso ci saltava in braccio in modo teatrale, un comportamento che nessuno aveva mai visto prima in un esemplare della sua specie. […]

Sophistocat era una giungla di mobili e in quei corridoi irregolari era ormai diventato un esperto nel creare giochi. Ci osservava furbesco da dietro a qualche angolo, come se fossimo noi a nasconderci da lui. Poi, con ingenuità, caricava e saltava. Abbiamo sviluppato in fretta l’abitudine di guardarci le spalle nervosamente. E se lo scoprivamo immobile in posizione accucciata e lo sguardo impertinente, fingeva con disinvoltura di leccarsi le zampe, irritato per il fatto che qualcuno gli avesse rovinato il divertimento, dato che una parte fondamentale del suo gioco era quella di coglierci alla sprovvista. Era divertente e spassoso, ma anche stancante ed esigente.

Ogni giorno lo portavamo in un grande giardino poco distante dal negozio per un’oretta, e a lui doveva sembrare sufficiente, dato che raramente era riluttante a tornare a Sophistocat. Del resto, era là che si tenevano le sue attività preferite. Nel pomeriggio, poi, si sarebbe seduto regalmente sui mobili in vetrina, alla luce, guardando scorrere la vita di Chelsea, e provocando quasi quotidianamente qualche tamponamento di automobilisti attoniti. Era ormai l’attrazione della zona e i residenti, soprattutto i bambini, lo adoravano. Tutti erano orgogliosi di lui, e a tutti sembrava appartenere.